La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Sent. n. 24436/2008) ha stabilito che l'art. 62 sexies del D.L. n. 331 del 1993 "dispone fra l'altro, al comma 3, che gli accertamenti condotti ai sensi del menzionato art. 39 (comma 1, lett. d) ‘possono essere fondati anche sull'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, l'ufficio - allorché ravvisi ‘gravi inconngruenze' fra i valori dichiarati e quelli ragionevolmente attesi in base alle caratteristiche dell'attività svolta od agli ‘studi di settore' - può fondare l'accertamento di maggiori ricavi, rispetto a quelli dichiarati, anche su tali ‘gravi incongruenze' e, quindi, anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 39 citato: il che costituisce, in pratica, un ulteriore elemento presuntivo, di carattere legale, certamente ammissibile anche in presenza di contabilità formalmente regolare".
"Peraltro - aggiunge la Corte-, anche l'art. 39, comma 1, lett.d), D.P.R. n. 600 del 1973, richiamato, dispone che, in tema di accertamento delle imposte, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare come nella specie, è consentito procedere alla rettifica della dichiarazione dei redditi, senza riscontro analitico della documentazione, secondo il metodo cosiddetto ‘induttivo', purché l'accertamento in rettifica risulti fondato su presunzioni assistite dai requisiti previsti dall'art. 2729 cod. civ. e desunte da dati di comune esperienza, oltre che da concreti e significativi elementi offerti dalle singole fattispecie e la circostanza che una impresa commerciale dichiari, ai fini dell'imposta sul reddito, per più anni di seguito rilevanti perdite, nonché una ampia divaricazione tra costi e ricavi, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare da parte dell'erario una rettifica della dichiarazione, ai sensi dell'art. 39 succitato, a meno che il contribuente non dimostri concretamente la effettiva sussistenza delle perdite dichiarate".
Nel caso di specie, ha osservato la Corte che "tale anomalia è significativa ed ulteriormente aggravata dal fatto che, malgrado i risultati negativi ottenuti per cinque anni, per come risultano dalla contabilità esaminata e disattesa prima dai verificatori e poi dall'Ufficio, la società avrebbe insistito nella stessa attività, come rilevato in sentenza in palese contrasto ‘con i principi di ragionevolezza, anche sotto il profilo dell'antieconomicità del comportamento della contribuente che inspiegabilmente si sarebbe decisa ad aprire altro esercizio contiguo".
"Peraltro - aggiunge la Corte-, anche l'art. 39, comma 1, lett.d), D.P.R. n. 600 del 1973, richiamato, dispone che, in tema di accertamento delle imposte, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare come nella specie, è consentito procedere alla rettifica della dichiarazione dei redditi, senza riscontro analitico della documentazione, secondo il metodo cosiddetto ‘induttivo', purché l'accertamento in rettifica risulti fondato su presunzioni assistite dai requisiti previsti dall'art. 2729 cod. civ. e desunte da dati di comune esperienza, oltre che da concreti e significativi elementi offerti dalle singole fattispecie e la circostanza che una impresa commerciale dichiari, ai fini dell'imposta sul reddito, per più anni di seguito rilevanti perdite, nonché una ampia divaricazione tra costi e ricavi, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare da parte dell'erario una rettifica della dichiarazione, ai sensi dell'art. 39 succitato, a meno che il contribuente non dimostri concretamente la effettiva sussistenza delle perdite dichiarate".
Nel caso di specie, ha osservato la Corte che "tale anomalia è significativa ed ulteriormente aggravata dal fatto che, malgrado i risultati negativi ottenuti per cinque anni, per come risultano dalla contabilità esaminata e disattesa prima dai verificatori e poi dall'Ufficio, la società avrebbe insistito nella stessa attività, come rilevato in sentenza in palese contrasto ‘con i principi di ragionevolezza, anche sotto il profilo dell'antieconomicità del comportamento della contribuente che inspiegabilmente si sarebbe decisa ad aprire altro esercizio contiguo".
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