La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 44712/2008) ha stabilito che risponde di lesioni volontarie gravissime per dolo saranno il sieropositivo che ha rapporti sessuali con il partner senza avvertirlo della sua condizione. I Giudici del Palazzaccio hanno infatti osservato che "molto si è discusso in giurisprudenza e in dottrina in ordine alla differenza esistenza tra l'ipotesi del dolo eventuale e quella della colpa cosciente, anche con riferimento ad ipotesi come quella in discussione, e si è pervenuti spesso a conclusioni differenti, anche se non del tutto divergenti. Senza alcuna pretesa di completezza, va detto, in estrema sintesi, che il criterio distintivo di gran lunga prevalente si fonda sul cosiddetto criterio della accettazione del rischio; si sarebbe, quindi, in presenza di dolo eventuale quando l'agente, pur non volendo l'evento, accetta il rischio che si verifichi come risultato della sua condotta, comportandosi anche a costo di determinarlo, mentre risponderebbe a titolo di colpa aggravata - colpa cosciente - l'agente che, pur rappresentandosi l'evento come possibile risultato della sua condotta, agisca nella ragionevole speranza che esso non si verifichi".
Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che è fuori contestazione "che la donna si sia rappresentata la concreta possibilità di trasmettere il virus al sul partner e ciò non solo perché, come ha osservato la Corte territoriale, i mass media, da tempo hanno svolto, e continuano a svolgere, campagne per illustrare i rischi della grave infezione ed i pericoli di alcuni comportamenti sessuali, invitando la popolazione a prevenire il rischio con rapporti sessuali protetti, ma specificamente perché la consapevolezza del rischio derivava dalla concreta e drammatica esperienza di vita della donna, come sopra descritta" e che "non vi è alcun dubbio allora che la donna abbia agito essendo perfettamente consapevole del concreto rischio di infezione al quale esponeva il suo compagno - evento non solo concretamente possibile, ma altamente probabile con il protrarsi dei rapporti sessuali - ed accettando il rischio del verificarsi dell'evento, alla fine davvero verificatosi".
Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che è fuori contestazione "che la donna si sia rappresentata la concreta possibilità di trasmettere il virus al sul partner e ciò non solo perché, come ha osservato la Corte territoriale, i mass media, da tempo hanno svolto, e continuano a svolgere, campagne per illustrare i rischi della grave infezione ed i pericoli di alcuni comportamenti sessuali, invitando la popolazione a prevenire il rischio con rapporti sessuali protetti, ma specificamente perché la consapevolezza del rischio derivava dalla concreta e drammatica esperienza di vita della donna, come sopra descritta" e che "non vi è alcun dubbio allora che la donna abbia agito essendo perfettamente consapevole del concreto rischio di infezione al quale esponeva il suo compagno - evento non solo concretamente possibile, ma altamente probabile con il protrarsi dei rapporti sessuali - ed accettando il rischio del verificarsi dell'evento, alla fine davvero verificatosi".
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