Le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione (Sent. n. 5941/2009) risolvendo il contrasto giurisprudenziale sorto nel merito, hanno stabilito che non va riconosciuta l'attenuante all'imputato se il complice ha già risarcito la vittima dei danni subiti. La Corte ha quindi affermato che "la giurisprudenza, con indirizzo pressoché unanime, nega che il colpevole possa giovarsi del risarcimento effettuato da un terzo […] e ciò basandosi sulla natura soggettiva dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 c.p., rientrante tra quelle concernenti i rapporti tra il colpevole e l'offeso ai sensi dell'art. 70 c.p., attenuante da intendersi (con varianti lessicali, ma non sostanziali) quale segno di diminuita capacità a delinquere […] o di ravvedimento attivo […].2
"Orientamento che testimonia - prosegue la Corte - la fedeltà all'intento del legislatore per come rispecchiato nella Relazione ministeriale di accompagnamento al Codice, in cui si legge che ‘la riparazione del danno come diminuente comune ad ogni reato era auspicata da una gran parte della dottrina. Il Progetto limita tuttavia questa circostanza entro confini ragionevoli, considerandola, non tanto dal punto di vista pratico, come causa cioè che facilita il soddisfacimento degli interessi della persona offesa dal reato, quanto dal lato psicologico e volontaristico, ossia della condotta del colpevole dopo il reato, come sintomo della sua attenuata capacità a delinquere. E', soprattutto, per questo motivo che la riparazione deve verificarsi prima del giudizio, e che non è stata accolta la proposta di estenderne l'efficacia a momenti successivi e, secondo alcuni, fino a che non fosse intervenuta sentenza irrevocabile".
La corte ha poi aggiunto che "del resto la stessa Corte Costituzionale, che nella sentenza n. 138 del 1998, fondandosi sull'evento richiesto e sull'interesse dell0offeso, ha preso una decisa posizione per la natura oggettiva della circostanza, precisa che è pur sempre necessario che l'intervento risarcitorio sia ‘comunque riferibile all'imputato'. Riserva indotta dalla necessità di preservare la condotta volontaristica che la norma in esame indica nell'aver riparato' e, con essa, il quid di merito della riparazione. Quid che, nei reati colposi, il criterio della ragionevolezza impone di rilevare, per una visione socialmente adeguata del fenomeno, anche nell'aver stipulato un'assicurazione o nell'aver rispettato gli obblighi assicurativi per salvaguardare la copertura dei danni derivanti dall'attività pericolosa. Ma che nei reati dolosi richiede invece ‘una concreta, tempestiva, volontà di riparazione del danno cagionato', in modo che, se uno dei correi ha già provveduto in via integrale, l'altro, per esempio, dovrà nei tempi utili rimborsare il complice più diligente […] o comunque dimostrare di aver avanzato una seria concreta offerta di integrale risarcimento".
"Orientamento che testimonia - prosegue la Corte - la fedeltà all'intento del legislatore per come rispecchiato nella Relazione ministeriale di accompagnamento al Codice, in cui si legge che ‘la riparazione del danno come diminuente comune ad ogni reato era auspicata da una gran parte della dottrina. Il Progetto limita tuttavia questa circostanza entro confini ragionevoli, considerandola, non tanto dal punto di vista pratico, come causa cioè che facilita il soddisfacimento degli interessi della persona offesa dal reato, quanto dal lato psicologico e volontaristico, ossia della condotta del colpevole dopo il reato, come sintomo della sua attenuata capacità a delinquere. E', soprattutto, per questo motivo che la riparazione deve verificarsi prima del giudizio, e che non è stata accolta la proposta di estenderne l'efficacia a momenti successivi e, secondo alcuni, fino a che non fosse intervenuta sentenza irrevocabile".
La corte ha poi aggiunto che "del resto la stessa Corte Costituzionale, che nella sentenza n. 138 del 1998, fondandosi sull'evento richiesto e sull'interesse dell0offeso, ha preso una decisa posizione per la natura oggettiva della circostanza, precisa che è pur sempre necessario che l'intervento risarcitorio sia ‘comunque riferibile all'imputato'. Riserva indotta dalla necessità di preservare la condotta volontaristica che la norma in esame indica nell'aver riparato' e, con essa, il quid di merito della riparazione. Quid che, nei reati colposi, il criterio della ragionevolezza impone di rilevare, per una visione socialmente adeguata del fenomeno, anche nell'aver stipulato un'assicurazione o nell'aver rispettato gli obblighi assicurativi per salvaguardare la copertura dei danni derivanti dall'attività pericolosa. Ma che nei reati dolosi richiede invece ‘una concreta, tempestiva, volontà di riparazione del danno cagionato', in modo che, se uno dei correi ha già provveduto in via integrale, l'altro, per esempio, dovrà nei tempi utili rimborsare il complice più diligente […] o comunque dimostrare di aver avanzato una seria concreta offerta di integrale risarcimento".
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