Con la sentenza n. 6441 del 17 marzo 2009 la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un cittadino neozelandese
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Sentenza n. 6441 del 17 marzo 2009 la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un cittadino neozelandese che, avendo già ottenuto visto d'ingresso e permesso di soggiornare nel nostro paese per motivi di studi, aveva richiesto al questore di Livorno la conversione del titolo di soggiorno in permesso per motivi familiari, facendo valere il riconoscimento della qualità di partner de facto di un cittadino italiano da parte delle competenti autorità neozelandesi. La Corte d'Appello di Firenze aveva respinto la domanda del cittadino neozelandese affermando, tra i motivi che "la condizione di partner de facto, attestata dalle autorità neozelandesi, secondo il nostro
ordinamento giuridico è diversa da quella di "familiare", che può essere riconosciuta soltanto a soggetti legati da vincoli parentali e soltanto in alcuni casi, anche di affinità" e che non è possibile estendere la disciplina della famiglia legittima alle unioni di fatto, come costantemente affermato la Consulta. Secondo quanto si apprende dai motivi che hanno portato alla decisione della
sentenza, il legislatore, con il termine familiare intendere riferirsi al coniuge, ai figli minori, ai figli maggiorenni non autosufficienti per ragioni di salute i genitori a carico che non dispongano di adeguato sostegno familiare nel paese di origine o provenienza.
Infine la Corte si è posta un problema: escludere da questa lista, i conviventi e i soggetti legati da una stabile relazione affettiva oggetto di registrazione o di semplice attestazione si pone in contrasto con le norme costituzionali (artt. 3 e 29 Cost.)?
La Corte Costituzionale nel sottolineare, con varie decisioni che deve essere garantita la massima tutela a favore della "famiglia nucleare" ha però più volte negato la possibilità si estendere attraverso un mero giudizio di equivalenza tra le due situazioni, la disciplina della famiglia legittima alla convivenza di fatto, descrivendolo come un rapporto di fatto privo dei caratteri della stabilità e della reciprocità che nascono dal matrimonio. L'interpretazione estensiva, invocata dai ricorrenti, non può quindi essere imposta da alcuna norma costituzionale.