La Corte di Cassazine ha dato il via libera alla procreazione assistita per i detenuti che hanno contratto malattie virali con elevato rischio di trasmissione al partner o al feto. La decisione è della Prima Sezione Penale della Corte (sentenza 11.259/2009) che, dopo aver dato l'ok ai figli in provetta per i Boss in regime di "carcere duro", ha ora riconosciuto la possibilità di avere figli grazie alla fecondazione assistita anche ai detenuti con malattie virali. La Corte ha preso in esame il caso di un detenuto di 44 anni affetto da epatopatia HCV. Inizialmente il magistrato di Sorveglianza aveva negato il consenso ad accedere alla fecondazione assistita sulla base del fatto che ne' il detenuto ne' la moglie avevano problemi di sterilita' o comunque una patologia che potesse intrinsecamente impedire il concepimento o la gestazione. Secondo il magistrato di sorveglianza non si potevano applicare le 'Linee Guida' del decreto del ministero della Salute dell'aprile 2008 quale condizione che, per l'elevato rischio di tramissione al partner e al feto induce oggettivamente situazione di infertilita'. Diversa l'opinione della Corte che ha accolto il ricorso del detenuto ricordando che la legge 40 del 2004 "parla di sterilita' o infertilita', ma non indica le specifiche patologie che producano sterilita' o infertilita' in modo dettagliato e nominativo". La stessa legge "laddove richiama il parere del Consiglio Superiore della Sanita', quale supporto tecnico delle 'Linee Guida' che sono 'vincolanti per tutte le strutture autorizzate', pur con riferimento all'indicazione delle procedure, in definitiva demanda proprio alle 'Linee Guida' la piu' compiuta e particolareggiata indicazione delle patologie rientranti nel piu' generale quadro normativo". Tali 'Linee Guida', osserva la Corte "in effetti esplicitano una serie di condizioni patologiche, a vario livello incidenti nella funzione riproduttiva, che quella condizione finale di infertilita' o sterilita' producono". Per questo "non e' corretto disapplicare le 'Linee Guida' degradate a fonte regolamentare, proprio in quanto esse svolgono invece funzione concretamente integrativa della previsione generale della Legge 40 (la cui applicazione altrimenti sarebbe lasciata, in materia di particolare sensibilita' umana e sociale, oltre che deontologica, alle disomogenee inziative dei singoli medici)". Non è lecito, conclude la Corte "che il giudice si possa spingere fino al punto di delimitare, al di la' di quello che e' stato il parere scientifico del massimo organo di consulenza tecnica in materia medica, cio' che rientri o non rientri nell'ambito delle patologie che la comunita' scientifica ritenga invece autorevolmente produttiva di infertilita' o sterilita'".
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