La Cassazione ha detto ok ai manifesti volti a "screditare" l'avversario politico. Anche se questi hanno un contenuto "graffiante" e "aspro". La Corte ha infatti annullato una condanna per diffamazione inflitta dalla Corte d'Appello a un politico che aveva tappezzato la sua citta' di manifesti in cui affermava che il modo di fare politica del gruppo antagonista era "basato sulla calunnia e sulla ricerca affannosa e maniacale di gettare fango sugli amministratori". Secondo Piazza Cavour (sentenza 17686/2009) "il fatto non costituisce reato" giacché in politica "e' lecito adoperare toni aspri e pungenti di disapprovazione, giungendo a screditare la condotta degli avversari". Iin precedenza i giudici di merito avevano affermato che il contenuto dei manifesti politici non rientrasse nel diritto di critica e per questo avevano condannato ilr esponsabile in base al reato punito dall'art. 595 C.P. Nella parte motiva della sentenza la quinta sezione penale spiega che "sussiste l'interesse pubblico a garantire il dibattito tra tutti i gruppi politici, al fine di assicurare la trasparenza dei processi decisionali attinenti la gestione della cosa pubblica". La Corte annota inoltre che, fermo restando che deve essere "esclusa la liceita' delle contumelie, del dileggio, della mera derisione", nell'ambito della lotta politica si è verificata negli anni "una sorta di desensibilizzazione del significato offensivo di talune parole", per cui "la critica puo' esprimersi pure in termini che sarebbero definiti lesivi della reputazione di un comune cittadino".
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