Con la sentenza n. 12777, depositata l'1 giugno 2009, la sezione tributaria della Corte di cassazione ha stabilito che il professionista di uno studio può imputare legittimamente i compensi che derivano dalla sua attività di arbitro all'associazione professionale: è infatti onere dell'amministrazione finanziaria dimostrare l'attività elusiva dello studio associato. Secondo quanto si apprende dalla vicenda, la Commissione tributaria Regionale di Roma aveva rigettato l'opposizione di un contribuente ritenendo che, il compenso percepito dal socio di uno studio legale quale componente di un collegio arbitrale, non potesse essere imputato al reddito dell'associazione professionale. La Corte di Cassazione, cassando la sentenza impugnata e decidendo la questione nel merito, ha accolto il ricorso del contribuente e, rifacendosi ad un precedente (la sentenza n.28957 del 10 dicembre del 2008) in analoga controversia, ha affermato il principio secondo cui "l'attività di un arbitro svolta da un avvocato rientra tra quelle tipiche della sua professione, e nulla vieta che possa essere svolta da un professionista aderente ad una associazione professionale, costituita ai sensi dell'art.1 della legge del 23 novembre 1939 n. 1815. Ne consegue che, in questa ultima ipotesi, legittimamente il professionista imputa i compensi derivanti dall'attività di arbitro dell'associazione professionale, ed è onere dell'amministrazione ch alleghi un intento elusivo sotteso da tale condotta, dimostrarne l'esistenza".
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