La madre non può opporsi al riconoscimento del figlio da parte di un papa' pregiudicato che è diventato un collaboratore di giustizia. Anche un "pentito" ha dunque diritto a fare il padre a tutti gli effetti e tale suo diritto non può essere ostacolato. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (sentenza 12984/2009) occupandosi della richiesta di una madre siciliana che aveva avuto un figlio da una relazione con un pregiudicato che dopo l'arresto con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, era divenuto collaboratore di giustizia e inserito nel programma di protezione. La donna non voleva il riconoscimento del figlio da parte del padre perchè riteneva che "sarebbero derivati gravi pregiudizi al bambino, in particolare rischi per l'incolumita' traducentesi in danni per l'equilibrio del minore". Lui al contrario sosteneva di avere diritto al riconoscimento del figlio naturale posto che la sua collaborazione con la giustizia dimostrava il suo desiderio di riscattarsi dalla vita precedente. Nel ricostruire la vicenda la Corte rileva che la donna era rimasta accanto al suo compagno anche quando questi era stato inserito nel programma di protezione (anno in cui era nato il bambino) e i loro contatti erano proseguiti per alcuni anni "con profonda e completa condivisione di sentimenti e progetti". Convalidando la decisione precedentemente assunta dalla Corte di Appello, gli Ermellini hanno rilevato che risulta "contraddittoria rispetto a tale esperienza" la richiesta della madre di negare al legittimo padre il riconoscimento del figlio e "ancor meno giustificata dalla volonta' di prendere le distanze dalla scelta collaborativa" del suo ex.
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