Il fatto di frequentare un boss o persone affiliatte a qualche cosca non significa di per se' che si e' mafiosi. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione annullando una condanna a sei anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso inflitta a due persone sulla base delle frequentazioni, cui si era risaliti tramite intercettazioni. Secondo i giudici di Piazza Cavour, "le semplici frequentazioni per parentela, affetti, amicizia, comune estrazione ambientale o sociale, per rapporti di affari e, a maggior ragione, gli occasionali e sporadici contatti, soprattutto in occasione di eventi pubblici (cortei, feste, funerali) in contesti territoriali ristretti, non possono di per se' essere utilizzati come sintomatici dell'appartenenza a sodalizi criminali". Per sostenere l'accusa di appartenere a un'associazione mafiosa "le frequentazioni e i contatti" devono essere "qualificati da abituale o significativa reiterazione, non giustificata da usuali modalita' di convivenza in contesti territoriali ristretti". A quel punto, scrive la Corte "se connotati dal necessario carattere individualizzante possono essere utilizzati come riscontri da valutare".
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