Diventa più difficile processare un datore di lavoro per maltrattamenti in azienda. La Cassazione ha infatti chiarito che il mobbing non è un reato anche se dallo stesso scaturiscono conseguenze sul piano civilistico. Anche se si deve escludere la perseguibilità penale la Corte invita i datori di lavoro a non tirare troppo la corda evidenziando che "il legittimo esercizio del potere imprenditoriale deve trovare un limite invalicabile nell'inviolabilita' dei diritti e nella imprescindibile esigenza di impedire comunque l'insorgenza o l'aggravamento di situazioni patologiche pregiudizievoli per la salute del lavoratore, assicurando allo stesso serenita' e rispetto nella dinamica del rapporto lavorativo, anche di fronte a situazioni che impongano l'eventuale esercizio nei suoi confronti del potere direttivo o addirittura di quello disciplinare". Anche se la Cassazione ha riconosciurto che il lavoratore può sempre rivendicare il diritto al risarcimento del danno in un processo civile con la sentenza 26594/2009 i giudici della sesta sezione penale non hanno potuto fare altro che respingere il ricorso contro la duplice assoluzione accordata a un direttore generale di una grande azienda accusato di avere maltrattato una dipendente "nei cui confronti aveva assunto sistematici comportamenti ostili, umilianti, ridicolizzanti e lesivi della dignita' personale, tanto da procurarle lesioni gravi e gravissime, soprattutto a livello psichico". I giudici di merito lo avevano assolto dal reato di maltrattamenti ed ora l'assoluzione ha trovato conferma nella decisione di Piazza Cavour. Nella decisione i Giudici evidenziano che "certamente la dipendente aveva vissuto una situazione di forte conflittualita' che aveva determinato contrasti con altri colleghi di lavoro, con dirigenti dell'azienda e solo marginalmente e indirettamente con il direttore generale". Si tratta di una situazione che in linea teorica può essere ricondotta al mobbing "la cui nozione evoca una condotta che si protrae nel tempo con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all'emarginazione del lavoratore". Tuttavia "nel nostro codice penale nonostante una delibera del Consiglio d'Europa del 2000, che vincolava tutti gli Stati membri a dotarsi di una normativa corrispondente, non v'e' traccia di una specifica figura incriminatrice per contrastare la pratica persecutoria del mobbing". Unica possibilità dunque iniziare una causa civile "costituendo il mobbing titolo per il risarcimento del danno patito dal lavoratore". Anche in relazione all'art. 572 c.p. (reato di maltrattamenti in famiglia) la Corte rileva che nella fattispecie l'impiegata era inserita in una "realta' aziendale complessa [...], la cui articolata organizzazione non implicava una stretta e intensa relazione diretta tra datore di lavoro e dipendente, si' da determinare una comunanza di vita assimiliabile a quella caratterizzante il consorzio familiare".
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