La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. n. 18800/2009) ha stabilito che ai mariti che perdono la moglie in un incidente stradale il risarcimento del danno patrimoniale va calcolato solo sulle spese fisse che sosteneva in vita la donna (es. affitto, mutuo), e non su tutto lo stipendio che percepiva. Nel caso di specie, la Corte ha convalidato le decisioni dei giudici di merito osservato che la Corte territoriale ha "ai fini del risarcimento di tale danno patrimoniale, ha correttamente ritenuto che andasse esaminato solo il contributo economico prestato dalla vittima per quelle voci della gestione familiare, che non fossero suscettibili di contrazione, a seguito del decesso. Ciò comporta che il danno va esaminato non con riguardo alla somma che presumibilmente la vittima apportava alla comunione familiare, poiché parte di questa somma era destinata a consumi, in senso lato, che essa stessa realizzava, per quanto nell'ambito familiare (ad esempio quello alimentare), ma con solo riferimento a quelle voci di spesa che, nonostante la scomparsa del coniuge, non si sono contratte e che l'attore, coniuge superstite, ha dovuto sostenere da solo (quale appunto il costo dell'alloggio)".
"Né l'attore - aggiunge la Corte - assume di aver allegato e provato che il coniuge versava a lui personalmente parte del suo reddito per utilità proprie di esso attore (nel qual caso bisognava anzitutto compensare tali somme con quelle versate ad eguale titolo personale dal marito alla moglie), per cui, a seguito del decesso, avrebbe perso tali proventi. Ne consegue che correttamente la corte di merito ha calcolato il danno patrimoniale subito dall'attore, coniuge superstite, escludendo sia la parte di reddito che, per quanto conferita alla gestione familiare, veniva poi utilizzata per sopperire ai consumi (in senso lato) nell'ambito di tale comunione familiare da parte della stessa vittima, sia la c.d. ‘quota sibi' (la parte, cioè, del reddito che la defunta avrebbe speso per sé, senza farla transitare attraverso la comunione familiare). L'accertamento di tale danno patrimoniale, come l'accertamento dell'ammontare di detta ‘quota sibi', rientra nei poteri del giudice di merito ed è incensurabile in cassazione, se immune da vizi di motivazione (…). La liquidazione di tale danno non può che essere essenzialmente equitativa, fondata su nozioni rientranti nella comune esperienza, stante l'impossibilità di un accertamento specifico del quantum".
"Né l'attore - aggiunge la Corte - assume di aver allegato e provato che il coniuge versava a lui personalmente parte del suo reddito per utilità proprie di esso attore (nel qual caso bisognava anzitutto compensare tali somme con quelle versate ad eguale titolo personale dal marito alla moglie), per cui, a seguito del decesso, avrebbe perso tali proventi. Ne consegue che correttamente la corte di merito ha calcolato il danno patrimoniale subito dall'attore, coniuge superstite, escludendo sia la parte di reddito che, per quanto conferita alla gestione familiare, veniva poi utilizzata per sopperire ai consumi (in senso lato) nell'ambito di tale comunione familiare da parte della stessa vittima, sia la c.d. ‘quota sibi' (la parte, cioè, del reddito che la defunta avrebbe speso per sé, senza farla transitare attraverso la comunione familiare). L'accertamento di tale danno patrimoniale, come l'accertamento dell'ammontare di detta ‘quota sibi', rientra nei poteri del giudice di merito ed è incensurabile in cassazione, se immune da vizi di motivazione (…). La liquidazione di tale danno non può che essere essenzialmente equitativa, fondata su nozioni rientranti nella comune esperienza, stante l'impossibilità di un accertamento specifico del quantum".
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