La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 35030/2009) ha stabilito che la riparazione per ingiusta detenzione, non essendo un diritto di tutti gli imputati assolti, va esclusa a chi ha imprudentemente accettato il rischio di avere contatti con un'organizzazione criminale e quindi, di conseguenza, di apparire coinvolto negli affari illeciti. Gli Ermellini hanno precisato che "è colposo il comportamento cosciente e volontario, al quale senza volerne e senza rappresentarsene gli effetti (anche se adottando l'ordinaria diligenza essi si sarebbero potuti prevedere) consegue un effetto idoneo a trarre in errore l'organo giudiziario'; in tal caso, la condotta del soggetto, connotata da profili di colpa volta a volta rinvenibili (negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti, ecc.), ‘pone in essere una situazione tale da dare una non voluta ma prevedibile (…) ragione di intervento dell'autorità giudiziaria con l'adozione del provvedimento cautelare, ovvero omessa revoca della privazione della libertà' (…). Ed in tal caso, la colpa deve appunto essere ‘grave', come vuole la norma, ‘connotata, cioè, da macroscopica, evidente negligenza, imprudenza, trascuratezza, ecc., tale da superare ogni canone di comune buon senso, secondo l'enunciazione di (…) culpa lata est nomia negligentia, id est non intelligere quod omnes intelligunt' (ibid.)".
"Inoltre - precisa la Corte -, la valutazione del giudice della riparazione si svolge su un piano diverso, autonomo, rispetto a quello del giudice del processo penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale: tale ultimo giudice deve valutare la sussistenza o meno di una ipotesi di reato ed eventualmente la sua riconducibilità all'imputato; il primo, invece, deve valutare non se determinate condotte costituiscono o meno reato, ma ‘se esse si posero come fattore condizionante (anche nel concorso dell'altrui errore) alla produzione dell'evento ‘detenzione' (…). Il rapporto tra giudizio penale e giudizio della riparazione si risolve solo nel condizionamento del primo rispetto al presupposto dell'altro (…), spettando al giudice della riparazione una serie di accertamenti e valutazioni da condurre in piena autonomia e con l'ausilio dei criteri propri dell'azione esercitata dalla parte'.
La Corte, nel caso di specie, ha quindi evidenziato che "(…) il complesso di tali elementi …., ancorché considerati non decisivi per una affermazione di penale responsabilità, delinea - quanto meno - un comportamento altamente imprudente e superficiale, poiché lo (…) in tal modo, ha accettato il rischio di apparire coinvolto nell'organizzazione criminale".
"Inoltre - precisa la Corte -, la valutazione del giudice della riparazione si svolge su un piano diverso, autonomo, rispetto a quello del giudice del processo penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale: tale ultimo giudice deve valutare la sussistenza o meno di una ipotesi di reato ed eventualmente la sua riconducibilità all'imputato; il primo, invece, deve valutare non se determinate condotte costituiscono o meno reato, ma ‘se esse si posero come fattore condizionante (anche nel concorso dell'altrui errore) alla produzione dell'evento ‘detenzione' (…). Il rapporto tra giudizio penale e giudizio della riparazione si risolve solo nel condizionamento del primo rispetto al presupposto dell'altro (…), spettando al giudice della riparazione una serie di accertamenti e valutazioni da condurre in piena autonomia e con l'ausilio dei criteri propri dell'azione esercitata dalla parte'.
La Corte, nel caso di specie, ha quindi evidenziato che "(…) il complesso di tali elementi …., ancorché considerati non decisivi per una affermazione di penale responsabilità, delinea - quanto meno - un comportamento altamente imprudente e superficiale, poiché lo (…) in tal modo, ha accettato il rischio di apparire coinvolto nell'organizzazione criminale".
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