E' giusto che i mass media "richiamino l'attenzione sulla gravita' delle conseguenze dell'operato della magistratura" quando una decisione errata "incide sulla liberta' dei cittadini". Lo afferma la quinta sezione penale della Corte di Cassazione (sentenza 37442/2009) con una decisione che da il via libera alle critiche anche aspre indirizzate a giudici che sbagliano. Il caso esaminato dal Palazzaccio riguarda un pubblico ministero che si era sentito diffamato da un articolo di stampa che lo aveva criticato per aver fatto ingiustamente un uomo con l'accusa di omicidio e rapina basandosi su un unico grave indizio. L'uomo, che si era sempre proclamato innocente, era stato tenuto in isolamento fino al suicidio. Sulla vicenda un quotidiano aveva pubblicato un articolo di denuncia utilizzando, nei confronti dei magistrati che si erano occupati del caso, espressioni "certamente forti e astrattamente idonee a ledere l'altrui onore ma utilizzate per descrivere le drammatiche sorti che portarono il detenuto al suicidio in carcere". L'autore dell'articolo veniva assolto dai giudici di merito e il pm ricorreva in Cassazione sostenendo che nel caso di specie si fosse travalicato il imite del diritto di critica sconfinando dunque nella diffamazione. La Corte ha respinto il ricorso evidenziando che "e' stato correttamente osservato che l'esercizio del diritto di critica, nella sua funzione di scriminante, puo' esplicarsi con l'uso di toni oggettivamente aspri e polemici, specie quando abbia ad oggetto un tema di grave interesse pubblico". Inoltre, "le espressioni usate dal giornalista sono pienamente adeguate alla gravita' del fatto narrato e sono dirette non certo ad aggredire la sfera di umanita' e moralita' del magistrato, ma a richiamare l'attenzione sulla gravita' delle conseguenze dell'operato della magistratura, laddove incide sulla liberta' dei cittadini". Proprio per questo il caso deve considerarsi rientrante nel "legittimo esercizio del diritto di critica".
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