La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. n. 23342/2009) ha stabilito che la parcella del professionista che segue l'azienda in un arbitrato va commisurata non tanto al valore globale della causa ma solo "a quelle domande rispetto alle quali si sia resa necessaria la consulenza stessa". Gli Ermellini hanno evidenziato che "l'affermazione del primo giudice, che si vorrebbe interpretare in senso conforme alla tesi sostenuta dall'odierno ricorrente, di segno inequivocabilmente opposto, in quanto posta a base di una decisione reiettiva di tale tesi, recependo, invece, quella secondo la quale la disposizione di cui all'art. 31 del DPR 645/94, nell'ancorare il valore della pratica a quello della domanda o delle domande oggetto della controversia nell'ambito della quale sia svolta l'incarico di consulente, va intesa in senso funzionale, vale a dire con riferimento a quelle sole domande rispetto alle quali si sia resa necessaria la consulenza e non anche a tutte le altre, quand'anche in qualche modo connesse, formulate nel corso del medesimo giudizio. Tale interpretazione deve ritenersi la sola logica e corretta, non essendo concepibile che la retribuzione di una prestazione professionale sia ancorata ad elementi estranei all'ambito dell'indagine svolta dal consulente, quali sarebbero altre domande o capi di domanda, in relazione ai quali, non vendo ravvisato il giudice la necessità di ricorrere, ai fini della relativa decisione, all'ausilio dello stesso, il relativo compenso sarebbe del tutto privo di causale".
"Nel caso di specie - ha aggiunto la Corte -, dunque, deve ritenersi conforme a diritto la decisione impugnata, nella parte in cui ha ritenuto di assumere a base della determinazione del valore della pratica, ai fini della liquidazione del compenso dovuto al consulente di parte, il valore di quel capo della domanda, relativo alle cd. royalties pretese dalla società (…) per la cui quantificazione, da operarsi sulla base degli importi dei fatturati netti nei periodi in contestazione, gli arbitri avevano ritenuto di doversi avvalere della collaborazione di un consulente tecnico di ufficio (alle cui operazioni l'odierno ricorrente partecipò quale c.t. di parte)".
"Nel caso di specie - ha aggiunto la Corte -, dunque, deve ritenersi conforme a diritto la decisione impugnata, nella parte in cui ha ritenuto di assumere a base della determinazione del valore della pratica, ai fini della liquidazione del compenso dovuto al consulente di parte, il valore di quel capo della domanda, relativo alle cd. royalties pretese dalla società (…) per la cui quantificazione, da operarsi sulla base degli importi dei fatturati netti nei periodi in contestazione, gli arbitri avevano ritenuto di doversi avvalere della collaborazione di un consulente tecnico di ufficio (alle cui operazioni l'odierno ricorrente partecipò quale c.t. di parte)".
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