La seconda sezione civile della Corte di Cassazione (sentenza 920/2010) richiamando il contenuto dell'art. 1223 del codice civile in tema di risarimento danni, ha stabilito che l'avvocato che non depositi tempestivamente il ricorso per Cassazione precludendo così la possibilità per il cliente di vedere accolte le sue pretese (nella fattispecie si trattava della richiesta di riliquidazione dell'indennità di fine rapporto proposta da un lavoratore nei confronti della propria azienda) dovrà pagare il risarcimento del danno e corrispondere anche gli interessi e la rivalutazione monetaria che il dipendente avrebbe potuto ottenere giudizialmente. Il menzionato art. 1223, infatti, in materia di responsabilità contrattuale, dipone che "Il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta". Per questo il risarcimento deve essere idoneo a reintegrare quella perdita patrimoniale che non si sarebbe verificata se il professionista avesse tempestivamente depositato il ricorso. Trattandosi di credito da lavoro si dovrà tenere conto sia della rivalutazione monetaria, che ha lo scopo di risarcire il maggior danno previsto dall'art. 1224, sia gli interessi che coprono il pregiudizio derivante da mancato guadagno della liquidità e ciò senza bisogno di prova del vantaggio che ne sarebbe derivato.
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