Con la sentenza n. 3023, depositata il 10 febbraio 2010, la sezione lavoro della Corte di cassazione ha stabilito che il professionista al quale la cassa di previdenza nega in maniera illegittima la ricongiunzione dei contributi versati privandolo della possibilità di lavorare e quindi di esercitare una legittima scelta di vita, ha diritto al danno non patrimoniale. Gli Ermellini hanno quindi affermato che il "diniego, ritenuto in sede giustiziale non giustificato, frapposto dalla Cassa alla legittima richiesta dell'assicurato, costituisce una forma di imperizia, e quindi di colpa, generatrice di responsabilità sotto il profilo civilistico". Per arrivare alla decisione, la Corte, "partendo da un'analisi storica dell'originario ambito di applicazione della norma di cui all'art.2059 c.c., dopo aver evidenziato come all'epoca dell'emanazione del codice civile potesse essere risarcito soltanto il danno non patrimoniale derivante da reato (e cioè il danno morale) ai sensi dell'art.185 c.p." ha operato una "ricostruzione del nostro sistema dei danni non patrimoniali risarcibili, svincolando l'ipotesi risarcitoria della concreta esistenza del fatto reato". "La giurisprudenza - continua la Corte - ha individuato, nell'ambito del danno non patrimoniale risarcibile ex art. 2059 c.c., la categoria del danno morale, o danno soggettivo puro, riconducibile alla sofferenza morale soggettiva, quella del danno biologico, riconducibile alla lesione dell'integrità psico-fisica e cioè alla compromissione della salute, e quella del danno esistenziale, riconducibile alla sfera realizzatrice dell'individuo ed attinente al "fare" del soggetto offeso". In seguito a questa precisazioni, gli Ermellini hanno quindi stabilito che "nel caso di specie il ricorrente ha lamentato l'esistenza del danno consistente nel non aver potuto adottare una legittima scelta di vita. Non può pertanto dubitarsi, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, dell'esistenza del danno dedotto, consistente in quella somma di ripercussioni di segno negativo conseguenti alla condotta posta in essere dalla Cassa, che aveva comportato la lesione di specifici interessi costituzionalmente protetti, fra cui quello di cui poter realizzare liberamente una propria, legittima, opzione di vita. Ne può ritenersi che la Corte territoriale abbia omesso di indicare il precetto costituzionale violato, che - secondo la prospettiva di parte ricorrente - non sarebbe comunque altrimenti ricavabile, atteso che la tutela dei diritti di libertà costituisce il fondamento e la base primaria della nostra carta costituzionale che dedica agli stessi la parte iniziale recante appunto l'intestazione "diritti fondamentali".
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