Il figlio che picchia la madre e che pone in essere comportamenti violenti per avere i soldi dal proprio genitore può finire sotto processo per il reato di estorsione. A dirlo è una recente sentenza della Corte di Cassazione, depositata il 19 aprile 2010, n. 14914. Secondo la ricostruzione della vicenda, in secondo grado i giudici di merito avevano condannato il figlio a 2 anni e a 4 mesi di reclusione, per le continue violenze perpetrate ai danni dei genitori, i quali avevano confermato i maltrattamenti subiti. Il figlio invece, aveva fatto valere in giudizio la legittimità delle sue pretese, seppur violente, perché, in mancanza di un lavoro e quindi di una fonte di sostentamento, i suoi genitori avrebbero dovuto mantenerlo "per lo stretto legame di parentela" esistente. La sesta sezione penale, rigettando il ricorso proposto dall'imputato, in quanto inammissibile, ha in proposito stabilito che "pur essendo pacifico il principio che l'obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli, secondo le regole degli artt. 147 e 148 cod. civ., non cessa "ispo facto", con il raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi, ma perdura, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell'obbligo non dia la prova che il figlio ha raggiunto l'indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un'attività economica dipende da un atteggiamento di inerzia di rifiuto ingiustificato dello stesso (…) va nella specie rilevato come non risulti affatto la prova che le somme, chieste con le modalità violente che risultano accertata, fossero destinate al mantenimento dell'imputato. Ne consegue che, in difetto di tale essenziale connotazione causale dell'agire del ricorrente, si è nella specie verificata l'azione esecutiva e la soggettività del delitto di estorsione e non la minore fattispecie criminosa disciplinata dall'art.39 393 c.p.".
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