Con la sentenza n. 29016 del 23 luglio scorso, la Corte di Cassazione ha stabilito che se gli acquirenti non sono in grado di comprendere la falsità della merce, commerciare prodotti contraffatti è reato anche se la riproduzione risulterebbe grossolana. Il principio è stato affermato dalla seconda sezione penale, la quale, in seguito al ricorso di un imputato per il reato di contraffazione (che aveva però eccepito che il prodotto essendo talmente grossolano non avrebbe potuto ingannare sulla originalità), citando la sentenza n.16821/2008, ha in proposito precisato che "in tema di commercio di prodotti con segni falsi, perché il falso possa essere considerato innocuo e grossolano, e dunque, perché il reato possa essere ritenuto impossibile, occorre che le caratteristiche intrinseche dei prodotto e dei marchio che con esso si identifica siano tali da escludere immediatamente la possibilità che una persona di comune avvedutezza e discernimento possa essere tratta in inganno: tale giudizio va formulato con criteri che consentano una valutazione "ex ante" della riconoscibilità "ictu oculi" della grossolanità della falsificazione".
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