Con la sentenza n. 285 del 28 luglio 2010 la Corte Costituzionale ha non ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di Appello di Firenze e della Corte di Appello di Venezia, dell'art. 70 del d.lgs. n. 151 del 2001, in riferimento agli artt. 3, 29 e 31 della Costituzione, stabilendo che il padre, anche se libero professionista, non ha diritto di percepire l'indennità di maternità al posto della madre. In base a quanto emerge dalla lettura della sentenza, le Corti rimettenti denunciavano la norma contenuta nell'art. 70 nella parte in cui esso, nel fare esclusivo riferimento alle "libere professioniste", non prevede il diritto del padre libero professionista di percepire, in alternativa alla madre biologica, l'indennità di maternità. Secondo il giudizio dei giudici di Palazzo della Consulta, che hanno sostanzialmente rigettato la tesi sostenuta dal rimettente, la decisione si basa sull'assunto che la posizione della madre non possa essere assimilata a quella del padre: come infatti spiega il giudice delle leggi, il padre può "godere del periodo di astensione dal lavoro e della relativa indennità solo in casi eccezionali e ciò proprio in ragione della diversa posizione che il padre e la madre rivestono in relazione alla filiazione biologica". I giudici, in sostanza, rigettando la questione di legittimità costituzionale, hanno ribadito la ratio della norma: "le norme poste direttamente a protezione della filiazione biologica, oltre ad essere finalizzate alla protezione del nascituro, hanno come scopo la tutela della salute della madre nel periodo anteriore e successivo al parto, risultando, quindi, di tutta evidenza che, in tali casi, la posizione di quest'ultima non è assimilabile a quella del padre". In definitiva, la tutela del nascituro si accompagna a quella della salute della madre.
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