Sono le h.8:30 di venerdì 21 settembre 1990 ed un uomo, non più un "ragazzino", di trentotto anni si sta recando al lavoro alla guida di una vecchia Ford Fiesta di color rossiccio ("perché la debbo cambiare se ancora cammina?"); è un magistrato esperto e preciso; ormai i colleghi lo consultano come una banca dati, fagocita fascicoli processuali, sforna provvedimenti, dissente con meditate argomentazioni giuridiche da orientamenti formalistici della Prima Sezione della Corte di Cassazione; sa indicare cosche, organigrammi, rapporti con i colletti bianchi; è partito come ogni giorno di routinario pendolarismo da Canicattì, ove abita con i genitori. Canicattì è un grosso comune dell'akragantino ai confini con la provincia di Caltanissetta che deve il suo nome ad un toponimo arabo che significa fossato d'argilla; la giornata si preannuncia calda: ci sono già 25°; viaggia verso Agrigento per andare in Tribunale. Alcuni killer della Stidda hanno ricevuto l'ordine di massacrarlo, nel modo più feroce. E' un bersaglio che più facile non si può: non ha scorta, non ha auto blindata anche se si occupa di inchieste e di processi alla criminalità di grande importanza. Le parole di oggi sono senso del dovere e legalità di un Uomo normalmente eccezionale: Rosario Angelo LIVATINO. Mi piace ricordare che le motivazioni del barbaro assassinio furono ricostruite da Paolo BORSELLINO a Mannheim che favorì il pentimento di uno stiddaro recluso nel carcere tedesco: era il 10 luglio 1992, dieci giorni prima di Via D'Amelio. Mi piace ancora ricordare che, in precedenza, quando Giovanni FALCONE si insediò al Ministero della Giustizia, una delle prime azioni che fece fu recarsi a trovare i genitori del Dott. Livatino insieme al Ministro dell'epoca. Ogni magistrato dovrebbe, a mio sommesso avviso, ricordare spesso, ma in special modo quando conduce indagini preliminari, emette o richiede provvedimenti ed ha rapporti con altri giudici, avvocati, parti, testimoni ed ausiliari, che sta indossando quella stessa toga che fu di quell'Uomo, per nulla ragazzino, che credeva nella Giustizia. E che un giorno da PM d'udienza, dopo aver chiesto la condanna dell'imputato, ascoltando l'arringa del difensore si convinse della bontà della ricostruzione del legale e, senza tentennamenti, in sede di replica finale, chiese l'assoluzione dell'imputato. Un Magistrato che sapeva essere garantista quando occorreva ed aveva il massimo rispetto degli avvocati. Del resto, il padre Vincenzo, deceduto il 5 maggio 2010 a 93 anni, era un avvocato in pensione. Chi volesse approfondire lo studio della figura di Rosario Livatino può partire dall'appassionato testo del Prof. Nando Dalla Chiesa "Il giudice ragazzino", edito da Einaudi nel 1992, che si apre con la frase di Vaclav Havel "non dimenticarlo mai, la prima piccolissima bugia detta nel nome della verità, la prima minuscola ingiustizia commessa nell'interesse della giustizia, il primo inavvertibile tradimento della morale commesso in nome della moralità delle cose, significano inequivocabilmente l'inizio della fine". Chi volesse, invece, lasciare un pensiero per quel Magistrato esemplare che da dodici anni combatteva il crimine mafioso, può utilizzare la lavagnetta che individuate qui sotto.
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Civilista e penalista, dedito in particolare
alla materia della responsabilità civile
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