Con sentenza n. 21967 del 27 ottobre 2010 la Corte di Cassazione ha affermato che il lavoratore che si "ribella" al provvedimento di trasferimento ad altra sede non può essere sanzionato con il licenziamento, soprattutto se il rifiuto è motivato dalla necessità di assistere il coniuge affetto da handicap grave. Nel caso in esame una lavoratrice - ammessa dall'INPS al godimento delle agevolazioni di cui all'art. 33, L. 104/1992 per le condizioni di salute del marito, affetto da grave handicap - impugnava il trasferimento ad una sede diversa disposto nei suoi confronti dalla società per cui lavorava nonché il licenziamento successivamente intimatole (giustificato da una nuova complessiva riorganizzazione aziendale), invocando la tutela reale. Il Tribunale di Napoli riconosceva l'illegittimità del licenziamento, condannando la società alla riassunzione o al risarcimento dei danni ex art. 8, L. 604/1966. Avverso tale decisione la lavoratrice proponeva appello sottolineando il carattere ritorsivo del licenziamento, la cui reale giustificazione era da rinvenirsi nel rifiuto del trasferimento. La Corte territoriale, accogliendo le richieste della lavoratrice, dichiarava illegittimi sia il trasferimento che il licenziamento, ordinando alla società di reintegrare la lavoratrice nel suo posto di lavoro ovvero in mansioni equivalenti. La società proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo che il trasferimento trovava la sua giustificazione nella contrazione di lavoro nella sede di appartenenza e che l'aspetto del riassetto organizzativo era riconducibile alla nozione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento non sindacabile dal Giudice. La Suprema Corte, rigettando il ricorso, ha sottolineato che la libertà di iniziativa economica privata (in questo caso la scelta dell'assetto organizzativo e produttivo dell'impresa da parte del datore di lavoro) "non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana". I Giudici di legittimità hanno evidenziato la legittimità delle conclusioni della Corte d'Appello che desumeva come unica ragione del licenziamento della dipendente - a seguito di una valutazione presuntiva fondata su indizi gravi, precisi e concordanti - la sola volontà del datore di lavoro di sanzionare la lavoratrice per essersi "ribellata" al provvedimento di trasferimento disposto unilateralmente dalla società; hanno così concluso che, "a prescindere dal requisito dimensionale dell'azienda, va accordata alla lavoratrice ricorrente la piena tutela reale ex art. 18 Stat. Lav.".
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