La Corte Costituzionale si è pronunciata nuovamente su una questione che riguarda il riparto delle competenze tra Stato e Regioni in relazione alla decisione del nostro Governo di ritornare al nucleare, per tamponare la crisi energetica dell'Italia, che comporta una costante dipendenza di quest'ultima da altri Paesi. Alcuni mesi fa la Consulta, dopo aver chiarito che era indispensabile coinvolgere le Regioni in questioni inerenti la disciplina delle fonti energetiche, ha comunque rigettato i ricorsi proposti da dieci Regioni (Basilicata, Calabria, Toscana, Umbria, Liguria, Puglia, Lazio, Marche, Emilia-Romagna e Molise) contro la legge delega n. 99/2009 che individuava i principi fondamentali per la realizzazione di nuovi impianti nucleari. In aderenza a tale impostazione, con la recentissima sentenza n. 331/2010, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle leggi delle Regioni Basilicata, Campania e Puglia mediante le quali veniva manifestato il divieto delle suddette al posizionamento sul territorio di rispettiva competenza non solo di nuovi impianti di produzione, fabbricazione e stoccaggio di energia nucleare, ma anche di depositi di materiali e rifiuti radioattivi. La Consulta, infatti, ha ribadito che al diritto delle Regioni di essere coinvolte nei processi decisionali mediante forme collaborative e intese corrisponde il diritto dello Stato vuoi di disciplinare siffatte forme collaborative e vuoi, più a monte, la stessa materia della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema: quest'ultima, infatti, rientra fra quelle affidate alla competenza esclusiva dello Stato, in base all'art.117, secondo comma, lettera s). Solo dopo che sarà decisa dallo Stato l'esatta localizzazione delle centrali, le Regioni direttamente coinvolte potranno impugnare le scelte compiute dal Governo.
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