La giurisprudenza, sia civile, che penale che amministrativa, ha affrontato in numerose occasioni la tematica della natura giuridica e del valore probatorio del registro di protocollo all'interno di un ente pubblico, giungendo sempre alla medesima conclusione: si tratta di un atto pubblico di fede privilegiata (tra le altre, si vedano Cons. Stato, sez. VI, sentenza 26.5.1999, n. 693, Cass. pen., sez. V, sentenza 2.5.1994, Cons. Stato, ad. plen., sentenza 5.8.1993, n. 10). Da ciò deriva non solo che qualunque pubblico dipendente operi nel sistema di protocollazione lo fa in qualità di pubblico ufficiale, ma anche che chiunque intenda contestare la veridicità di una o più registrazioni contenute nel protocollo di un'Amministrazione è tenuto a proporre querela di falso, in base all'art. 221 del codice di procedura civile. In una recente sentenza (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 5 ottobre 2010, n. 7309) il Consiglio di Stato ha compiuto alcune interessanti precisazioni sul punto. Tra le altre, merita un'attenzione particolare quella in base alla quale la natura giuridica appena chiarita del protocollo non è affatto inficiata dall'eventuale mancanza di sottoscrizione del registro da parte del pubblico ufficiale incaricato di conservarlo, in quanto il protocollo e il contenuto risultano essere comunque riferibili a quella data Amministrazione in maniera inconfutabile. L'unica osservazione che ci si sente di fare in merito a quest'ultimo aspetto, è che, in realtà, i registri di protocollo non sono affatto sottoscritti da un pubblico ufficiale addetto; ciò valeva prima, quando c'erano i registri cartacei, e vale a maggior ragione oggi, in presenza del protocollo informatico: è il sistema (attualmente informatico, basato sull'inserimento di proprie credenziali di autenticazione, ossia user-name e password) a garantire il rispetto dell'ordine progressivo di registrazione, l'autenticità del documento, nonché la riferibilità del registro stesso all'Ente che lo produce.
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