La custodia cautelare in carcere non può essere revocata anche se l'imputato è l'unico a potersi occupare della figlia perché la madre, imprenditrice, lavora tutto il giorno. Questo è il principio enunciato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 43998 depositata il 14 dicembre. La vicenda ha come protagonista un uomo che aveva richiesto gli arresti domiciliari, al posto della misura cautelare in carcere, sulla base del fatto che sua moglie, imprenditrice, non avrebbe potuto occuparsi del bambino di tre anni perché impegnata tutto il giorno. La Sesta Sezione penale, respingendo la richiesta dell'imputato, ha in proposito spiegato che "in tema di misure cautelari personali, non è censurabile, in sede di legittimità, la decisione con cui il giudice di appello escluda, con motivazione idonea e pertinente, la gravità dell'impedimento richiesto dall'art. 275, comma quarto, cod. proc. pen., considerato che l'attività di lavoro svolta dalla madre (…),non può costituire, salvo specifiche e puntuali circostanze, ostacolo tale da impedire alla genitrice di attendere alla cura di minore". In sostanza, la sesta sezione penale, ha evidenziato come la figura della madre-imprenditrice abbia "una maggiore gamma di risorse alternative per rispondere alle esigenze di crescita psico-sociale della prole minore di tre anni" rispetto alla figura della madre-lavoratrice. Rigettando il ricorso dell'uomo e adeguandosi a quanto stabilito dal tribunale del Riesame, gli Ermellini hanno così concluso escludendo che il lavoro della madre (imprenditrice) costituisca un'impossibilità assoluta di assistenza alla prole, così come previsto dall'art. 275, comma 4 del cod. pro. pen.
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