E' quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 306 del 10 gennaio 2011
In presenza di una malattia professionale l'imprenditore è tenuto a provare di aver adottato, nel rispetto dell'art. 2087 c.c., "tutte le misure che, seconda la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro". E' quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 306 del 10 gennaio 2011 accogliendo il ricorso di un lavoratore che aveva visto accertare, dalla Corte d'Appello, la natura professionale della propria malattia ma non la domanda di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno morale. Alla base della decisione dei giudici di merito veniva posta l'omissione da parte del lavoratore di allegazione della documentazione relativa alla violazione delle misure di prevenzione idonee ad evitare il danno da parte del datore di lavoro e il fatto che l'articolo 2087 c.c. non prevede una responsabilità oggettiva e non può risolversi in un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile. I Giudici di legittimità ritengono la sentenza della Corte d'Appello non rispettosa del dettato normativo e la cassano con rinvio ad altra Corte d'Appello per una nuova valutazione di merito, alla luce del criterio di ripartizione dell'onere della prova in forza del quale "incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo".
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