La Corte di Cassazione, con sentenza n. 2153 del 31 gennaio 2011, ha affermato la legittimità del rifiuto - da parte del lavoratore - di eseguire la prestazione nel caso in cui l'attività richiesta incida sulle immediate esigenze vitali del lavoratore. Nel caso di specie una lavoratrice veniva licenziata per essersi rifiutata, nella sua qualità di fisioterapista, di svolgere la terapia c.d. guidata e per aver arbitrariamente occupato un box, intralciando l'attività degli altri dipendenti. In realtà veniva dimostrata l'inesigibilità della prestazione richiesta per l'estrema onerosità del percorso, di oltre tre chilometri, da seguire nell'accompagnamento in carrozzella del soggetto disabile. Conseguentemente veniva pronunciata sentenza di illegittimità del licenziamento avverso la quale ricorreva il datore di lavoro. La Suprema Corte ribadisce, in relazione alle "immediate esigenze vitali del lavoratore", il principio di diritto che fa salve la legittimità del rifiuto e la sindacabilità della scelta aziendale, affermando che "il lavoratore, a seguito di sua ritenuta dequalificazione delle mansioni, non può rendersi inadempiente non eseguendo la prestazione lavorativa quando lo stesso assolva a tutti gli altri propri obblighi in quanto una parte può rendersi inadempiente e invocare l'art. 1460 c.c. soltanto se è totalmente inadempiente l'altra parte e non invece se l'asserito inadempimento sia fatto dipendere da una pretesa dequalificazione professionale sulla base di una non condivisa scelta organizzativa aziendale che, come tale, non può essere sindacata dal lavoratore ove essa non incida sulle sue immediate esigenze vitali".
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