Nell'ambito della dialettica processuale le espressioni 'pungenti' tra avvocati avversari, non costituiscono reato. Parola di Cassazione. La decisione è della quinta sezione penale della Corte (Sentenza n. 10188/2011) secondo cui "non ogni espressione che crea disappunto è, per ciò solo, offensiva, né offensiva è automaticamente una espressione forte o pungente." Per questo, e a maggior ragione, quando si discute nell'ambito di un processo è frequente che le parti "per screditare la tesi avversaria, utilizzano frasi e parole che, in diverso contesto, difficilmente sarebbero tollerate." Tutto questo secondo il nostro ordinamento deve considerarsi fisiologico posto che si è "in presenza di una contesa aperta e radicale tra soggetti aventi interessi contrastanti e che esprimono tesi contrapposte". Definire "ridicolo" l'argomentare del proprio avversario, spiega la Corte, "è certamente un modo di esprimersi sgradevole e, forse, deontologicamente riprovevole, ma, non per questo integrante gli estremi dei diritti ex artt. 594 o 595 cp".
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