"Nel caso di licenziamento per ragioni inerenti l'attività produttiva e l'organizzazione del lavoro, ai sensi dell'art. 3 della legge n. 604 del 1966, se il giustificato motivo oggettivo consiste nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, il datore di lavoro deve pur sempre improntare l'individuazione del soggetto (o dei soggetti) da licenziare ai principi di correttezza e buona fede, cui deve essere informato, ai sensi dell'art. 1175 c.c., ogni comportamento delle parti del rapporto obbligatorio e quindi anche il recesso di una di esse". E' quanto affermato dalla sezione Lavoro della Corte di Cassazione che, con sentenza n. 7046 del 28 marzo 2011, ha accolto il ricorso di una dipendente, licenziata per g.m.o., che in primo grado aveva ottenuto l'annullamento del licenziamento mentre in appello la Corte aveva riconosciuto "giustificata la decisione di ridurre il personale per mantenere l'equilibrio tra costi e ricavi". In particolare il giudice d'Appello aveva ritenuto che il datore di lavoro, a differenza di quanto previsto per il licenziamento collettivo, non fosse vincolato ad alcun criterio di scelta essendo sufficiente la prova della relazione tra il licenziamento ed il motivo oggettivo dedotto. La Suprema Corte, rilevando che per il datore di lavoro la scelta del dipendente da licenziare non è totalmente libera bensì limitata, oltre che dal divieto di atti discriminatori, dalle regole di correttezza, sottolinea che, nel caso di specie il giudice di merito, affermando apoditticamente che il datore non era tenuto ad adottare criteri di scelta per l'individuazione del soggetto da licenziare, non ha verificato se la scelta fosse stata effettuata nel rispetto dei canoni di correttezza e buona fede e, quindi, sulla base di un criterio improntato a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati.
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