Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 33 del 9 agosto 2011, ha affermato che, sebbene la lettera del dettato normativo menzioni le sole "imprese" quali soggetti legittimati a fruire dei contratti di solidarietà di tipo "B" di cui all'art. 5, comma 5, L. n. 236/1993, gli stessi possono ritenersi applicabili anche ai datori di lavoro qualificati come studi professionali, ricorrendone i requisiti di legge. Il Dicastero, rispondendo all'interpello presentato dal Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro in merito alla corretta interpretazione della disposizione normativa di cui all'art. 5, comma 5, D.L. n. 148/1993, con particolare riferimento alla possibilità di ricorrere ai contratti di solidarietà di tipo "B" da parte di studi professionali, precisa che da una prima lettura dell'articolato normativo, emerge che i datori di lavoro qualificati come studi professionali non sembrano rientrare nelle categorie di imprese destinatarie delle disposizioni concernenti la fruizione dei contratti di solidarietà di tipo "B". Tuttavia il Ministero ritiene opportuno richiamare l'interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee del 16 ottobre 2003 (causa C/32/02) con riferimento alla direttiva UE del Consiglio 98/59/CE, che ravvisa la necessità di "incentrarsi su una nozione intesa in senso ampio di datore di lavoro (…), di superare lo stretto perimetro della nozione di imprenditore", e di "intendere con quest'ultima qualunque soggetto che svolge attività economica e che sia attivo su un determinato mercato". In virtù di tale orientamento, si legge nella risposta all'interpello, si può ritenere che anche gli studi professionali possano rientrare nell'ambito applicativo delle disposizioni di cui all'art. 5, comma 5, L. n. 236/1993.
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