Congedo straordinario per DOTTORATO di RICERCA - Legge 476 13/8/84 - Legge 449/97 - L 240/2010, L'art. 52 comma 57 della Legge 28 dicembre 2001, n. 448 e conclusione prematura del dottorato di ricerca senza conseguimento del titolo. (A cura di Raffaele Mancuso - Dottorando di ricerca cà foscari Venezia). Come è noto, l'art. 2 della legge n. 476 del 1984 prevede che il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca sia "collocato, a domanda, in congedo straordinario per motivi di studio, senza assegni per il periodo di durata del corso ed usufruisca della borsa di studio ove ricorrano le condizioni richieste. L'art. 52 comma 57 della Legge 28 dicembre 2001, n. 448 ha poi integrato l'art.2 della legge n. 476/1984 stabilendo che "in caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio, o di rinuncia a questa, l'interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell'amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro". La ratio della disposizione in esame è chiaramente quella di costituire un favor per il dipendente ammesso a corsi di ricerca e studio, garantendogli non soltanto la conservazione del posto di lavoro già occupato, ma anche un trattamento retributivo in caso di oggettivo non percepimento di altro sostegno economico.
La norma de qua prosegue disponendo ulteriormente che "qualora, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, il rapporto di lavoro con l'amministrazione pubblica cessi per volontà del dipendente nei due anni successivi, è dovuta la ripetizione degli importi corrisposti ai sensi del secondo periodo. Il periodo di congedo straordinario è utile ai fini della progressione di carriera, del trattamento di quiescenza e di previdenza".
Con la Legge 448/01 art.52 c.57, quindi, si è data la possibilità a coloro che non percepiscono borsa di studio o che rinuncino alla stessa di conservare il diritto alla retribuzione a condizione che dopo il conseguimento il dipendente resti in servizio presso l'Amministrazione pubblica per almeno due anni.
L'obbligo di ripetizione degli importi corrisposti è, infatti, ricollegato dall'art. 2 della legge n. 476 del 1984, così come modificato dall'art. 52 comma 57 della Legge 28 dicembre 2001, n. 448, alla sola ipotesi in cui, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, il rapporto di lavoro con l'amministrazione pubblica cessi per volontà del dipendente nei due anni successivi.
Alcune Amministrazioni in maniera arbitraria introducono nel provvedimento di concessione del dell'aspettativa al loro dipendente, che se quest'ultimo non dovesse conseguire il titolo, l'amministrazione richiederà la ripetizione delle somme. Nulla di più sbagliato, a sommesso avviso dello scrivente, infatti non appare sostenibile l'applicazione dell'art. 2 della legge n. 476/1984 "a casi analoghi", ammesso e non concesso che siano ravvisabili analogie tra l'ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro con l'amministrazione pubblica per volontà del dipendente nei due anni successivi al conseguimento del dottorato di ricerca e quella di mancato completamento del corso di dottorato di ricerca.
Il Consiglio di Stato, Sez. II, con parere n. 133 del 21 gennaio 1987 (in Cons.Stato, 1989, I, 95), ha, infatti, affermato che la disposizione in esame ha carattere eccezionale ed è quindi, come tale, insuscettibile di interpretazione analogica ex art.14 disp. prelim. al codice civile.
Si deve, altresì, negare in radice, sia con riferimento alla ratio della disposizione dell'art. 2 della legge n. 476/1984, sia con riferimento alla sua lettera, che l'amministrazione goda di una qualche discrezionalità arbitraria nella concessione del congedo straordinario o dell'aspettativa retribuita nelle ipotesi sopra descritte (Cons. St., sez I, 30 ottobre 2002, n. 3250; Tar Toscana, sezione II, 15 aprile 1992, n. 90). Se si ha riguardo alla ratio, si deve dire che il legislatore, nella comparazione degli interessi pubblici, ha valutato preminente quello della ricerca scientifica.
Si deve dare conto, inoltre, che in giurisprudenza, nell'ipotesi di dottorato di ricerca con borsa di studio, si afferma che condizione per il conferimento della borsa di studio medesima non è il conseguimento del dottorato di ricerca, bensì la frequenza e l'attività di studio e di ricerca: pertanto è illegittima la pretesa della p.a. di recupero degli assegni, nell'ipotesi di mancato conseguimento del titolo (Tar Campania Napoli, sez. I, 14 luglio 1989, n. 470).
Per concludere, si può affermare con certezza, che nel caso si rientri in servizio prima del termine degli studi o senza conseguire il titolo, non bisogna restituire le somme percepite, in quanto le stesse sono state concesse in godimento al dipendente in relazione alla frequenza e all'attività di studio e di ricerca e non con la finalità di acquisire il titolo. Difatti è come con il permesso c.d 150 ore per motivi di studio che si concede per frequentare le lezioni e preparare gli esami e la tesi. Bisogna solo certificare la frequenza delle lezioni e il sostenimento dell'esame o della tesi ma non il suo esito.
Nell'ipotesi di cessazione dal dottorato prima del suo completamento, inoltre, è ragionevole ritenere che in capo al dipendente sussista unicamente l'obbligo di riassumere immediatamente servizio presso l'amministrazione pubblica "di appartenenza".
La norma de qua prosegue disponendo ulteriormente che "qualora, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, il rapporto di lavoro con l'amministrazione pubblica cessi per volontà del dipendente nei due anni successivi, è dovuta la ripetizione degli importi corrisposti ai sensi del secondo periodo. Il periodo di congedo straordinario è utile ai fini della progressione di carriera, del trattamento di quiescenza e di previdenza".
Con la Legge 448/01 art.52 c.57, quindi, si è data la possibilità a coloro che non percepiscono borsa di studio o che rinuncino alla stessa di conservare il diritto alla retribuzione a condizione che dopo il conseguimento il dipendente resti in servizio presso l'Amministrazione pubblica per almeno due anni.
L'obbligo di ripetizione degli importi corrisposti è, infatti, ricollegato dall'art. 2 della legge n. 476 del 1984, così come modificato dall'art. 52 comma 57 della Legge 28 dicembre 2001, n. 448, alla sola ipotesi in cui, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, il rapporto di lavoro con l'amministrazione pubblica cessi per volontà del dipendente nei due anni successivi.
Alcune Amministrazioni in maniera arbitraria introducono nel provvedimento di concessione del dell'aspettativa al loro dipendente, che se quest'ultimo non dovesse conseguire il titolo, l'amministrazione richiederà la ripetizione delle somme. Nulla di più sbagliato, a sommesso avviso dello scrivente, infatti non appare sostenibile l'applicazione dell'art. 2 della legge n. 476/1984 "a casi analoghi", ammesso e non concesso che siano ravvisabili analogie tra l'ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro con l'amministrazione pubblica per volontà del dipendente nei due anni successivi al conseguimento del dottorato di ricerca e quella di mancato completamento del corso di dottorato di ricerca.
Il Consiglio di Stato, Sez. II, con parere n. 133 del 21 gennaio 1987 (in Cons.Stato, 1989, I, 95), ha, infatti, affermato che la disposizione in esame ha carattere eccezionale ed è quindi, come tale, insuscettibile di interpretazione analogica ex art.14 disp. prelim. al codice civile.
Si deve, altresì, negare in radice, sia con riferimento alla ratio della disposizione dell'art. 2 della legge n. 476/1984, sia con riferimento alla sua lettera, che l'amministrazione goda di una qualche discrezionalità arbitraria nella concessione del congedo straordinario o dell'aspettativa retribuita nelle ipotesi sopra descritte (Cons. St., sez I, 30 ottobre 2002, n. 3250; Tar Toscana, sezione II, 15 aprile 1992, n. 90). Se si ha riguardo alla ratio, si deve dire che il legislatore, nella comparazione degli interessi pubblici, ha valutato preminente quello della ricerca scientifica.
Si deve dare conto, inoltre, che in giurisprudenza, nell'ipotesi di dottorato di ricerca con borsa di studio, si afferma che condizione per il conferimento della borsa di studio medesima non è il conseguimento del dottorato di ricerca, bensì la frequenza e l'attività di studio e di ricerca: pertanto è illegittima la pretesa della p.a. di recupero degli assegni, nell'ipotesi di mancato conseguimento del titolo (Tar Campania Napoli, sez. I, 14 luglio 1989, n. 470).
Per concludere, si può affermare con certezza, che nel caso si rientri in servizio prima del termine degli studi o senza conseguire il titolo, non bisogna restituire le somme percepite, in quanto le stesse sono state concesse in godimento al dipendente in relazione alla frequenza e all'attività di studio e di ricerca e non con la finalità di acquisire il titolo. Difatti è come con il permesso c.d 150 ore per motivi di studio che si concede per frequentare le lezioni e preparare gli esami e la tesi. Bisogna solo certificare la frequenza delle lezioni e il sostenimento dell'esame o della tesi ma non il suo esito.
Nell'ipotesi di cessazione dal dottorato prima del suo completamento, inoltre, è ragionevole ritenere che in capo al dipendente sussista unicamente l'obbligo di riassumere immediatamente servizio presso l'amministrazione pubblica "di appartenenza".
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