Tassisti, avvocati, notai, farmacisti, benzinai, medici: tutti sul piede di guerra contro le liberalizzazioni del governo Monti. Scioperi che si risolvono sempre in un pregiudizio per il cittadino, che tuttavia è "terzo" rispetto a chi è preposto al potere normativo e che, quindi, non c'entra nulla. Più che di sciopero, bisognerebbe parlare di "ritorsione". Uno sciopero è una specie di dialogo e non un ricatto. Così vale per i tassisti, che hanno interrotto in molte città la loro attività, con buona pace dell'art. 331 del codice penale, che vieta, a chi esercita un servizio pubblico o di pubblica utilità, di interrompere il servizio stesso. Così vale anche per i magistrati che, per aderire a un'astensione, rinviano le cause di oltre un anno, ai danni delle sfortunate parti del processo. E gli esempi potrebbero moltiplicarsi.

Quando si tratta di riforme, l'Italia non si divide in "cittadini a favore" e "cittadini contro". Si divide in corporazioni. Da noi ci sono corporazioni ovunque. Non a caso si parla di sciopero dei "tassisti", degli "avvocati", dei "notai" e non invece di "sciopero" tout court. Dietro uno sciopero, c'è sempre una categoria. Il problema di base è che, quando si concede una prerogativa a una corporazione, diventa poi impossibile toglierla.

In un Paese anglosassone, una volta, ho visto una folla gridare sotto un palazzo: forse un'ambasciata, un ufficio del governo o qualcosa di simile. Agitavano cartelli con scritte in lingua, fischiavano, gridavano slogan in modo veemente, ma composto. Quando mi sono avvicinato, però, ho notato che la folla era divisa in due da uno spartiacque di cordoli. Da un lato c'erano cartelli con la scritta "Yes", "We Want" e roba del genere; dall'altro lato, all'opposto, le scritte erano invece "No", "Don't", "Never". Ho capito che si trattava delle opposte tifoserie: quelli "a favore" del provvedimento e quelli "contro".

Da noi le cose non girano in questo modo. Qui scende in piazza solo chi è "contro", chi viene "toccato" dalla riforma. Scende in piazza solo "la corporazione". E, per quanti pochi possano essere, i "contrari" sono più rumorosi di quelli "a favore". Questi ultimi, infatti, possono anche essere milioni, ma non si sentono perché rimangono a casa. Li senti invece, pronti a scioperare, solo quando anche a loro viene tolta la minestra. Ecco perché l'Italia è il Paese dove la legge la fa chi strilla più forte. La forza dei pochi è più visibile e rumorosa di quella dei molti, silenziosi, assenti. Indifferenti.

Il paradosso è che, se la riforma non passa, c'è sempre chi ha la faccia di dire: "Peccato! Eppure, il governo una cosa buona l'aveva fatta!"

Abbiamo avuto, a suo tempo, il coraggio di lamentarci quando non è passata la riforma delle farmacie. Ma cosa abbiamo fatto per sostenerla? Abbiamo lasciato la strada ai pochi che invece la osteggiavano. Ed oggi stiamo facendo la stessa cosa con le altre liberalizzazioni. Lasceremo che le corporazioni siano più rumorose del nostro silenzio. Se una legge piace, invece, si deve avere la forza e la voglia di scendere in piazza e gridarlo, così come lo si fa quando non piace.

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