Qualche decennio fa di privacy non si parlava, se non altro legalmente, poi tutto d'un tratto eccola lì, pronta a cambiarci la vita. Guai a mandare un curriculum senza citarla, provvedendo ad autorizzare il trattamento dei propri dati (come da Dlgs 196/2003); la mancanza potrebbe costarci un posto di lavoro. Cosa già ben rara di questi tempi da ottenere, sia mai che un cavillo legale e burocratico diventi uno dei motivi principali per essere scartati. La legge, per dovere di cronaca e perché potrebbe anche far piacere saperlo, venne introdotta su pressione della Comunità Europea, non per volontà dei nostri governatori, per rispettare gli Accordi di Schengen. Nacque così un decreto legislativo, il 675/96 ("Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali". Ho una questione a tal proposito, a cui spero qualcuno possa dare risposta: chi possono mai essere questi "altri soggetti" citati? Alieni? Androidi?), il cui rispetto è garantito da un...Garante, per l'appunto.
Nel 2003 si sentì l'urgenza di apportare delle modifiche, non tanto al testo e agli articoli, quanto al nome, trasformandolo così nel Dlgs 196/2003, "Codice in materia di protezione dei dati personali". Forse per poter dire di aver legiferato a sufficienza? Ironia a parte, al testo originale si aggiunsero altri emendamenti varati negli anni, così da creare il Testo Unico 2003. Sino ad arrivare al gennaio 2012 quando la UE ha elaborato una nuova proposta della legge, di cui si aspetta l'entrata in vigore. Si terrà conto in ampia parte del mondo virtuale della rete, con tutte le problematiche collegate al rispetto del diritto alla riservatezza in una realtà che è un costante flusso di dati, anche personali.
C'è però qualcosa in questa legge che non torna del tutto. Per carità, giustissimo rispettare la altrui sfera privata, ma cosa accade quando questa sfera è più pubblica che privata? Riferendomi ovviamente ai politici, ma anche ad amministratori e dipendenti pubblici.
A tal proposito prendo spunto da un articolo scritto da Gian Antonio Stella (per me pozzo di verità assolute e illuminazioni infinite), apparso sull'inserto settimanale del Corriere della Sera, Sette, intitolato "Chi ha paura dell'eccesso di trasparenza", che tratta del diritto alla riservatezza invocato da molti autori del magna-magna che ha investito parecchie regioni italiane. Dal pezzo, e dai fatti di cronaca, emerge come in molte regioni i giustificativi delle spese non siano mai stati resi pubblici, per rispetto alla privacy di chi le ha compiute. Tradotto: no scontrini o altre pezze giustificative perché potrebbero svelare troppo sulla vita privata di chi li ha prodotti (o meglio, non prodotti, come nel caso di molti "poltronisti" regionali). Emblematica l'affermazione di Giorgio Lunelli, capogruppo in Regione dell'Unione per il Trentino, che teme l'eccesso di trasparenza nelle rendicontazioni per l'attività politica perché potrebbe "mettere in difficoltà chi svolge l'attività politica". E va anche avanti nello spiegare come ciò potrebbe minare le fatiche quotidiane dei nostri politici: "se io ho un incontro riservato e vado a pranzo con una persona può rappresentare un problema dover pubblicare la spesa con il nome della persona con cui sono andato a pranzo". A ben guardare gli ultimi episodi emersi (non in Trentino, assolutamente no) capiamo bene il perché di una simile affermazione. Chi mai potrebbe tollerare una festa "suina romana" con i fondi della Regione Lazio o cene con sosia di Marilyn Monroe pagate dalla Regione Piemonte? Pochi, credo nessuno, cittadini riuscirebbero a vedere qualcosa di anche solo lontanamente buono, al di là dello sperpero di denaro pubblico.
Chiunque abbia lavorato anche un sol giorno in un'azienda con un budget dedicato alle spese, come quelle di trasferta, mai e poi mai ha potuto evitare la consegna di scontrini e fatture. Quindi se permettete cari governanti, siccome i soldi escono dalle nostre tasche quotidianamente, per finire nelle casse statali, ci piacerebbe sì, e anche moltissimo, sapere che fine hanno fatto. Altrimenti che paghiamo a fare? Consoliamoci sperando che il Garante della privacy possa realmente far applicare il principio che NON ESISTE LA PRIVACY SUI SOLDI PUBBLICI.
Anche perché la nostra sfera privata verrà presto messa in luce e resa pubblica, se non altro a livello burocratico, attraverso il redditometro. Tutte le nostre spese, dall'asilo alla palestra (e non escludiamo parrucchiere ed estetista), dovranno essere messe nero su bianco su appositi moduli. Quindi trasmessi all'Agenzia delle Entrate per poter valutare che non ci siano sbilanci. Pena una bella sanzione. Eppure in questo caso nessuno si preoccupa di sollevare questioni sul diritto alla riservatezza. Non potrebbe dunque essere questa una buona occasione per il Governo di guadagnarsi il rispetto dei cittadini tassa-paganti? Basterebbe trattare tutti alla stessa stregua, anzi, più duramente chi ha deciso di mettersi in politica in quella che dovrebbe essere, se non mi sbaglio, una democrazia. Dove, etimologicamente parlando (quindi per puro, ahimè, astrattismo) dhmos sta per popolo (noi cittadini) e kratos (potere); anche se la realtà ci insegna che si dovrebbe parlare di castocrazia . barbaralgsordi@gmail.it