Negli ultimi mesi si è sentito spesso parlare di legge 40/2004 e di sue possibili cambiamenti. Per chi non lo sapesse si tratta della legge che regola le procedure di procreazione medicalmente assistita (Pma), e che dalla sua introduzione ha fatto molto discutere.
Allora lo fece per le limitazioni sul numero degli embrioni che potevano essere impiantati, massimo tre, molto meno rispetto ad altre nazioni, come Spagna o Inghilterra. Provocando un inevitabile turismo della speranza verso mete straniere, arricchendo così le cliniche locali.
Col passare del tempo sono venute a galla altre pecche, non da poco, della legge; una su tutte la mancanza di possibilità, o meglio il divieto, di diagnosi pre-impianto. Perché si sia scelta questa via è un mistero, soprattutto alla luce del fatto che molte delle coppie che ricorrono a queste tecniche, lo fanno perché portatrici di malattie genetiche, spesso altamente disabilitanti. In realtà il mistero si svela considerando che la procreazione è per molti vissuta come una forzatura,e che dare la possibilità anche di effettuare diagnosi prima ancora che ci sia un feto sarebbe discriminante ed eticamente ingiusto.
Al di là però dello sventare possibili clonazioni di super-eroi, resta comunque il fatto che si voglia escludere a priori la possibilità di far nascere un bambino sano, senza dover subire il calvario di un aborto. E visto le recenti prese di posizione del Governo sul trattamento economico da riservare a chi ha disabilità molto gravi, sarebbe da caldeggiare più che ostacolare.
Effettivamente questa pare essere ormai la via scelta, dato il susseguirsi di episodi che proclamano legittima la diagnosi pre-impianto, ultimo quello di una coppia sarda. Una donna affetta da talassemia major e il suo partner portatore sano è stata autorizzata direttamente dal Tribunale di Cagliari ad eseguire il test all'Ospedale Microcitemico di Cagliari. Senza attendere il responso della Corte Costituzionale a cui la donna si era precedentemente rivolta, e da cui non aveva ricevuto risposta in tempo utile (ahimè, certe procedure hanno per necessità tempi più brevi di quelli della nostra Giustizia). La sentenza depositata non va contro la legge, ne offre semplicemente una interpretazione differente, seguendo l'esempio della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo. La Corte stessa è già intervenuta in merito alla nostra legge, considerata lesiva dei diritti dei futuri genitori, autorizzando personalmente una coppia di italiani portatrice sana di fibrosi cistica a poter effettuare (in patria) la diagnosi sugli embrioni prima dell'impianto. Ora in molti sperano che questi sporadici episodi possano servire per attivare il Parlamento a revisionare drasticamente la legge. Per alcuni "ascientifica", come Ignazio Marino, che confida nel fatto che il Governo Monti possa essere artefice del cambiamento, per non perdere la credibilità duramente conquistata in Europa. Eppure esiste un emendamento del 2008 (Turco, ndr) che autorizzerebbe la pre-diagnosi in alcuni casi particolari, così come la crioconservazione. Perché dover ricorrere allora ad un Tribunale o ad una Corte per far valere i propri diritti? Viene proprio spontaneo rispondere: perché siamo in Italia. Che altro? barbaralgsordi@gmail.it