Dopo aver scritto tanto sul Redditometro e aver ricevuto parecchi commenti e critiche sulle sue modalità, ecco materializzarsi un episodio che rischia di far vacillare questo odiato strumento. E diventare la riscossa "morale" di noi poveri tartassati.

Una recente sentenza emessa da Tribunale di Napoli (sezione civile distaccata di Pozzuoli), la n.250/2013, ha infatti accolto il ricorso cautelare contro l'Agenzia delle Entrate di un contribuente pensionato, inviperito contro il sistema inquisitorio di questa che dovrebbe essere la soluzione di tutte le evasioni. Bene, il signore a mezzo del suo legale, l'Avv. Roberto Buonanno, ha chiesto che l'Agenzia sia inibita dal "controllare, analizzare e archiviare le proprie spese in applicazione del dm 24.12.2012, n. 65648 (...), in quanto - vista l'ampiezza dei dati previsti dal regolamento - la predetta agenzia verrebbe a conoscenza di ogni singolo aspetto della propria vita quotidiana". Insomma una richiesta di fermare l'intromissione nella propria sfera privata.

Nello specifico il ricorrente si è lamentato dell'invasione in campo di spese mediche; quali che siano i suoi misteri da celare al Fisco, a noi importa invece che il giudice Antonio Lepre gli abbia dato ragione. Fondando l'accoglimento del ricorso sulla base dell'art.2 della Costituzione
, e cioè sull'obbligo da parte della legge di proteggere la privacy del cittadino, oltre che degli art. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea ("diritto di ogni persona al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni, nonché alla protezione dei dati di carattere personale") . E poco importa se i dati debbano servire alla P.A. per contrastare appunto la criminalità fiscale. La sentenza mette nero su bianco il sacrosanto diritto alla privacy di ciascuno di noi: "la dignità umana è inviolabile e deve essere rispettata e tutelata (da legislatore, ndr)".

Il passaggio della sentenza che esprime al meglio questo concetto è certamente questo: "Non può esservi né dignità, né libertà ove non vi sia protezione e piena autonomia che comporta ovviamente il non dover giustificarsi delle proprie scelte se non in casi di assoluta eccezionalità e in presenza di circostanze specifiche, concrete e determinate; che altro principio fondamentale- quest'ultimo di derivazione tipicamente comunitario - è il principio di proporzionalità che vieta alla P.A. Di sacrificare la sfera giuridica dei privati, al di là di quanto sia strettamente necessario per il raggiungimento dell'interesse generale in concreto perseguito e che quindi vi deve essere nell'azione amministrativa proporzione tra mezzi e fini perseguiti ". Ed evidentemente per il nostro giudice spese per padelle o mutande non giustificherebbero quest'invadenza.

Altri punti a totale sfavore della legittimità del Redditometro sono l'includere anche i dati relativi alle spese degli altri componenti del nucleo familiare (minori inclusi) ed il riferimento a tabelle Istat, che generalizzano in maniera grossolana le presunzioni di redditi. Insomma se il signor pensionato vive in un piccolo comune di poche anime, perché mai dovrebbe vedersi accollato il reddito di un abitante di una metropoli?

A questo punto null'altro da aggiungere che "il decreto ministeriale è non solo illegittimo, ma radicalmente nullo ai sensi dell'art.21 septies legge n.241/1990", perché "conferisce all'Agenzia governativa un potere che va, quindi, manifestamente oltre quello della ispezione fiscale consentito astrattamente dall'art. 14, 3º comma Cost". Inoltre "viola i principi di eguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità in quanto, a ben vedere, non è strumento idoneo a raggiungere in modo adeguato i prefissi obbiettivi di repressione fiscale".

E c'è da giurare che questa vittoria giuridica di un comune cittadino contro il Fisco creerà un precedente non trascurabile, che in molti potrebbero perseguire.

Ah, non scordiamo di rammentare che l'Agenzia ha già provveduto a fare ricorso...
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Barbara LG Sordi
Email barbaralgsordi@gmail.it

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