Il Dicastero, in via preliminare, evidenzia gli elementi caratteristici del fenomeno del crowdsourcing, precisando che con tale locuzione si intende individuare un nuovo modello di business aziendale in forza del quale un'impresa affida la progettazione, ovvero la realizzazione di un determinato bene immateriale ad un insieme indefinito di persone, tra le quali possono essere annoverati volontari, intenditori del settore e freelance , interessati ad offrire i propri servizi sul mercato globale (c.d. community di utenti iscritti ai siti a titolo gratuito).
Si tratta, quindi, di un particolare sistema agevolato da strumenti disponibili sul web in open call, nonché sviluppato mediante alcuni portali presenti sulla rete internet (siti) attraverso i quali si realizza l'incontro tra domanda ed offerta dei prodotti (beni immateriali e servizi) da parte degli utenti. Dunque - si legge nella risposta del Ministero - le attività di intermediazione svolte in crowdsourcing risultano, in linea generale, finalizzate non alla conclusione di contratti di lavoro ma alla mera stipulazione di contratti di natura commerciale, tra i quali la compravendita ex art. 1470 c.c. o l'appalto ex art. 1655 c.c. e s.s.
Conclude il Dicastero che "si ritiene non sia necessaria l'autorizzazione preventiva di cui agli artt. 4 e 6, D.Lgs. n. 276/2003 per lo svolgimento dell'attività di crowdsourcing qualora quest'ultima promuova la stipulazione di contratti di natura commerciale tra i quali la compravendita e l'appalto.
Nelle ipotesi in cui l'attività di crowdsourcing involga, invece, la conclusione di contratti d'opera professionale ex art. 2222 c.c., appare necessario richiedere l'autorizzazione ai sensi della citate disposizioni normativa esclusivamente se dalla stipulazione di questi contratti consegua un'attività prolungata in favore del committente tale da configurare la costituzione di posizioni lavorative in seno alla sua organizzazione."