di Paolo M. Storani - Caro Zibaldone, scrive il grande Karl Emil Maximilian Max Weber: "il mondo è governato da demoni e chi s'immischia nella politica, ossia si serve della forza e della violenza, stringe un patto con potenze diaboliche ... Chi non lo capisce in politica non è che un fanciullo".
Allora, perché meravigliarsi che la morte di Giulio Andreotti, avvenuta il 6 maggio 2013, venga salutata dal Presidente della Repubblica e da quello del Consiglio in carica come un padre della patria?
Ripenso al Divo Giulio mentre scorro la notizia del 24 maggio 2013: "Anche senza i funerali di Stato, la morte di Giulio Andreotti presenta il suo conto salatissimo alle casse pubbliche. Si tratta, per la precisione, di 1 milione di euro, dovuti alla famiglia dell'ex senatore a vita", è quanto riportato da Libero.it: il calcolo della sontuosa liquidazione viene fatto sulla base dei 22 anni da senatore a vita.
Il potere che ha esercitato Andreotti sulla vita politica italiana e non solo ha avuto una durata di circa sessant'anni e, casualmente, mentre alla veneranda età di 94 anni l'uomo politico più influente della storia d'Italia se ne sta andando alle h.12:25 del 6 maggio 2013 nell'abitazione di Corso Vittorio, sono in giro per la sua Roma, ov'era nato il 14 gennaio 1919, ultimo di tre figli, padre maestro elementare originario della Ciociaria.
Curiosamente per la mia vita affannata, sudata o infreddolita, non ho nulla da fare: negli ultimi mesi è la prima volta che mi capita.
L'impegnativa puntata di UnoMattina, rubrica Storie Vere, di Rai1 è cosa fatta: abbiamo parlato di rapine in casa ed altre violenze.
Savino Zaba, che conduce insieme alla splendida e rocciosa Georgia Luzi, alla chetichella ha sfoggiato sulla giacca (nera su camicia bianca: è ovvio) una spilla della Juventus mentre io mi sto riprendendo psicologicamente dalla consueta sconfitta serale dell'Inter con il Napoli di Walter Mazzarri, in arrivo sulla panchina nerazzurra; per ora nessuno tra i tifosi è stato convocato per giocare, ma se continua la serie infinita degli infortuni toccherà metterci a dieta per tempo per non farci trovare atleticamente impreparati.
Ho soltanto un gran bisogno di confondermi con le frotte di turisti che, a torpedoni interi, affollano la Città Eterna. Tanto per mantenermi in tensione professionale mi hanno sistemato nei paraggi della Corte di Cassazione, Hotel Cicerone: albergo a tinte calde, vagamente retrò, lo ha acquistato una catena che fa capo ad Alpitour, che talora ho difeso.
Era il 'mio' albergo fortunello quando cominciai a muovere i primi passi ...ar Palazzaccio; mi passano anche una sobria ed apprezzabile cena nell'annesso ristorante che si chiama Le Buchon, dato inizialmente per chiuso dal portiere dell'hotel.
Poi, via!, libero per le vie di Roma.
Le città, quando si può, vanno esplorate a piedi.
Solo così ti colmeranno di amore e tu le ricambierai e poi le farai tue.
Si osservano un sacco di cose significative come questa: dirimpetto alla Corte di Cassazione, che ha ora uno splendido parcheggio sotterraneo, il cinema multisala Adriano dà, tra i molti film proposti, Il Commissario Torrente.
Buffissimo, al limite dell'empietà giudiziale, che proprio difronte alla Suprema Corte troneggi una scritta a caratteri cubitali: IL BRACCIO IDIOTA DELLA LEGGE.
I padroni dei cani hanno imparato a farli correre un po' nel giardino inaugurato al di sopra del parcheggio interrato.
Passeggio sul Ponte Cavour che sono appena le dieci di sera, la Città è mia! Mi interessa tutto: osservo il palazzo della Banca del Fucino e getto uno sguardo verso il punto vendita del marchio Ferrari, al cui interno c'è la solita monoposto (autentica o modellino di plastica?).
Stranamente stasera non si incontrano né il presentatore Gigi Marzullo, che vagabonda, sembra molto alto dal vivo, per le piazze del centro, né l'affascinante profilo bianco di Eugenio Scalfari che si avvia verso casa appoggiandosi al bastone. Stasera niente Sgarbi, che fece il sindaco dalle mie parti, a San Severino Marche, e niente Luca Telese, che ha fallito nel suo velleitario, ma bellissimo progetto del varo del quotidiano Pubblico; invece, il direttore di MicroMega, Paolo Flores d'Arcais, era salito sul treno a Fabriano il giorno precedente (ho in valigia sempre più libri di quanti possa leggerne, tra i quali Democrazia!, add editore Torino, 2012, scritto da Flores.
La Galleria Alberto Sordi è chiusa e sprigiona mestizia, dirimpetto la scritta del quotidiano Il Tempo, che Gianni Letta (passato da Giulio a Silvio) diresse tanti anni fa, quando mio nonno Amedeo lo leggeva avidamente (ed io lo sbirciavo) per le notizie dei quartieri di Roma, per sapere "fatti e fattacci", da quando il figlio, vale a dire mio zio, si era trasferito per lavoro nella Capitale.
Gira una gran quantità di turisti tedeschi, bevono parecchia birra e si fanno risatone tonanti che squarciano il silenzio composto della notte di una città in ansia per le sorti dei carabinieri colpiti avanti a Palazzo Chigi da quel Preiti il giorno dell'insediamento del Governo Letta jr.
Mi verrebbe spontaneo chiedere ai molti Militi presenti a presidiare Roma dormiente se conoscessero Giuseppe Giangrande, il loro collega che rischia di morire; è stato appena trasferito nel centro di terapia intensiva di Imola, dove sono bravissimi nel trattamento delle lesioni midollari e cerebrali.
In Piazza di Spagna una coppia si lamenta per aver pagato un gelato sedici euro, alla basilica dell'Ara Coeli s'è sposata come una star del passato Valeria Marini: il matrimonio con il costruttore Cottone finirà in diretta tv inclusa una bestemmia pronunciata in mondovisione non si sa da chi.
Mentre Andreotti se ne sta andando, Silvio Berlusconi ha incaricato l'avvocato Franco Coppi quale strategia di distensione sul fronte della magistratura.
E penso a Giulia Bongiorno, sinceramente commossa, anzi affranta, che ora si rifugia nello studio di Piazza San Lorenzo in Lucina: lo stesso che vide i mille contatti di Giulio Andreotti e che Giulia, giovane assistente del grande Coppi (succeduto ad Odoardo Ascari quando entrò nel collegio di difesa del Divo, custodisce religiosamente avendo lasciato tutto come prima, perfino la disposizione dei divani della sala riunioni.
La morte di Andreotti non mi lascia indifferente: sin da bambino mi colpì la sua imperturbabilità, la sua apparente insensibilità che sembrava tracimare nel cinismo e nell'assenza di scrupoli morali.
Mi sforzo di rievocare un provvedimento legislativo di un qualche rilievo per il suo Paese e non lo trovo. Un uomo che ha preferito Michele Sindona a servitori dello Stato come Giorgio Ambrosoli, uno "che se l'andava cercando" (agghiacciante! L'11 luglio 1979 a Milano il papà di Umberto Ambrosoli era stato assassinato da un killer, William Joseph Aricò, in arte Bill lo Sterminatore, mandato da Sindona) o Carlo Alberto Dalla Chiesa; un abile rabdomante della politica furbo come una volpe (ricordate la famosa battuta di Bettino Craxi sulle volpi che prima o poi finiscono in pellicceria? Il dissidio iniziò all'epoca della vicenda Eni-Petronim) che ha sovvertito nell'immaginario collettivo una sentenza che certifica i suoi rapporti diretti con la Mafia sino al 1980 come un'assoluzione: ho in mano la copia fresca d'inchiostro del Messaggero del 7 maggio 2013: sottotitolo di prima pagina è "processato per mafia e poi assolto".
Incredibile! Un quotidiano rispettato ed autorevole che confonde in prima pagina, riferendo erroneamente ai propri lettori, una prescrizione riferendola come un'assoluzione.
E' riuscito tutto questo al Divo Giulio ritratto dal fortunato film di Paolo Sorrentino perché ha trasformato la mediocrità in una qualità duratura nel tempo: "è meglio tirare a campare che tirare le cuoia". Eppure, come scrive Michele Gambino, allievo di Pippo Fava, nella sua ...antibiografia edita da Piero Manni nel 2013, "da Sindona a Moro, da Pecorelli a Dalla Chiesa, dai militari golpisti a Licio Gelli, dai palazzinari romani ai mafiosi siciliani, l'intera vita di Andreotti è costellata di delitti, di misteri, di nemici per bene e di amici impresentabili"; tra l'altro, mi ha fatto piacere che Gambino, che iniziò come giovane cronista di nera nella Catania governata dalla corrente andreottiana, abbia esordito ricordando la celeberrima frase di Max Weber.
Il ri-Presidente della Repubblica lo ha salutato così: "lo giudicherà la storia"; in tale, temo lunga attesa, nei prossimi giorni esamineremo come lo hanno giudicato le Corti di Giustizia. (fine prima puntata - continua domani su Studio Cataldi)
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