Avv. Marco Orsenigo - Egr. Sig. Ministro della Repubblica,
giunto sulla soglia dei trenta anni di esercizio della professione forense, frequentato le corti di merito e quelle supreme, ho maturato alcuni convincimenti in tema di stato in cui versa la giustizia, specie quella civile, che mi hanno indotto ad ipotizzare alcune soluzioni, non di tutti i problemi che affliggono l’amministrazione della giustizia, almeno qualcuno.
Di progetti di riforma del processo civile e di interventi legislativi su questo processo ve ne sono stati fin troppi negli ultimi lustri e non è certo il caso di aggiungere una nuova voce ad un coro già numeroso; da ultimo si vedano le considerazioni di PROTO PISANI, I processi a cognizione piena dal 1940 al 2012, Foro It., 2012, V, 321; AA.VV, L’appello e il ricorso per cassazione

nella riforma del 2012, ibidem; nonché il progetto di riforma del codice di rito redatto da PROTO PISANI.
Dunque non è mio scopo proporre un ennesimo intervento sul processo civile, ma molto più modestamente proporre qualche correttivo di procedura; di procedura si badi, non di diritto processuale civile, secondo una distinzione cara al Prof. Giovanni Fabbrini. Insomma si tratta di intervenire su alcune delle norme di contorno alle disposizioni che regolano il rito vero e proprio e che attengono non all’attività del giudice, bensì a quella dei suoi ausiliari.
Una notazione preliminare comunque s’impone: se il processo è il motore della tutela giurisdizionale, l’organizzazione degli uffici è la struttura che deve reggere quel motore; se la struttura non è adeguata, il motore non potrà mai pulsare a pieno regime e per quanto potente non potrà che dare risultati insoddisfacenti. La crisi in cui è caduto pure il processo del lavoro comprova in modo eclatante la verità del rilievo che precede.
Le statistiche sul numero dei processi pendenti dimostrano che la lentezza del giustizia civile, e più in generale della giustizia tout court, deve essere ricondotta non già al rito, bensì alla inadeguatezza dell’organizzazione degli uffici, carente di personale, di strutture, di attrezzature.
Il dato è sotto gli occhi di tutti e lo possiamo considerare acquisito; dunque risolvere il problema strutturale è imprescindibile. 
Il Governo
precedente, pressato da impellenti esigenze economiche, è intervento sul processo civile con intenzioni deflattive, operando sul piano finanziario con l’aumento degli oneri per instaurarlo, ed intervenendo sulle disposizioni processuali relative alla proposizione dell’appello e del ricorso per cassazione
, volte ad ostacolare il diritto di impugnare.
La prima scelta seleziona l’accesso alla giustizia civile sul piano del censo, e dunque solleva più di un dubbio di costituzionalità; la seconda è di dubbia efficacia.
Di certo il passato Governo e quelli ancora precedenti si sono ben guardati dall’intervenire per rendere più efficiente la struttura con una robusta iniezione di personale giudicante ed ausiliario e di mezzi, che poi – ripeto - è la questione dolente che ormai si trascina irrisolta da decenni.
Il ciclo economico che stiamo attraversando impedisce che il problema di fondo su cennato possa essere affrontato di petto nell’unico modo idoneo a risolverlo; tuttavia ciò non impedisce di trovare altre soluzioni, che – senza costi – consentano di potenziare gli uffici almeno con riguardo alle funzioni non giudicanti. Si tratta di intervenire sulle disposizioni procedurali di contorno al processo, affidando alcune attività proprie del cancelliere e dell’ufficiale giudiziario a terzi, ottenendo così due risultati complementari: liberare il personale amministrativo da tutta una serie di compiti e di conseguenza ridistribuire il personale, risparmiare su mezzi ed attrezzature.
L’indagine sulle disposizioni in questione porta ad una prima constatazione: la procedura, nel senso inteso in questa sede, è affetta da eccesso di formalismo e ciò costituisce un orpello inutile di mero ostacolo allo snello svolgimento dell’attività ausiliaria del processo; formalismo che assorbe molte risorse meglio impiegabili.
Vige nelle pieghe del codice di rito e delle disposizioni di attuazione e di riflesso nelle cancellerie delle corti giudiziarie (il rilievo vale pure per molti altri pubblici uffici) quell’atteggiamento burocratico deteriore, che tanti danni ha arrecato all’efficienza della Pubblica Amministrazione.
Questo culto è figlio della visione conflittuale fra chi amministra il pubblico ufficio e l’utente. Nell’ambito precipuo dell’amministrazione della giustizia questo conflitto si concentra fra il cancelliere ed il procuratore della parte ed esprime una valutazione negativa dell’operato di quest’ultimo.
Nel più generale panorama della Pubblica Amministrazione da tempo il rapporto pubblico ufficio e cittadino utente è stato impostato sul piano fiduciario; la L. 15 marzo 1997 n° 59 (L. Bassanini) ha determinato uno snellimento di tutta l’attività di certificazione.
Il principio di collaborazione fra Pubblica Amministrazione e cittadino, fondato sulla lealtà e sulla buona fede di quest’ultimo, dev’essere introdotto pure negli uffici giudiziari, tanto più che l’opera del procuratore è fondata sul principio di lealtà e correttezza, come vuole l’art. 88 c.p.c. ed il codice deontologico della professione forense e di cui il procuratore della parte dà buona prova ogni giorno, come l’esperienza concreta della vita quotidiana degli uffici giudiziari sta a dimostrare.
Se chi legge queste righe non è un professionista che opera sul campo, non riesce a ben comprendere questa critica al formalismo procedurale, che certo non cela l’insofferenza per questo stato di cose.
Basta frequentare una qualsiasi corte giudiziaria e svolgere uno qualsiasi degli incombenti che il processo impone, per rendersi conto del dispendio di energie preteso dal formalismo procedurale.
Realizzare lo snellimento delle attività formali degli uffici giudiziari significa agire sul funzionamento delle cancellerie e degli ufficiali giudiziari.
Una delle principali attività del c cancelliere è il rilascio delle copie autentiche dei provvedimenti del giudice (art. 58 c.p.c.). Attività esercitata in continuo e spesso ripetuta più volte per un medesimo procedimento processuale.
L’attività certificatoria del cancelliere assorbe molto del suo tempo e pure molto di quello del procuratore della parte, senza dire che ciò determina la necessità di accedere all’ufficio, che eliminandola se ne avrebbe un giovamento generale anche in termini di viabilità urbana.
Questa attenzione per l’attività certificatoria è uno dei fattori (insieme ad altri) che ha portato – a parità di personale – all’abrogazione tacita dell’art. 57 c.p.c. Chi ha mai visto il cancelliere partecipare alle udienze civili nei Tribunali (per altro il fenomeno si constata pure nel processo del lavoro). Ciò conferma che l’assolvimento di compiti meramente formali prevale rispetto all’esigenza di assolvere il giudice dalle funzioni che non gli sono proprie.
Passando a considerare l’altra figura di ausiliario del giudice, l’ufficiale giudiziario, non possiamo fare a meno di rilevare che pure questo ufficio non funziona per cronica carenza di organico, nonostante che qualche funzione dell’ufficiale giudiziario sia stata devoluta al procuratore della parte. Penso alla L. 21 gennaio 1994 n° 53 sul potere del procuratore di notificare gli atti processuali. Questa legge per altro è timida e comunque concepita con un atteggiamento di sfiducia del legislatore nei confronti del procuratore che intende avvalersene; a riprova di quella visione burocratica e conflittuale tra Pubblica Amministrazione ed utente (quale che sia) che ancora impera nel Parlamento.
Non è un caso che dopo venti anni dalla promulgazione, la L. 53/1994 sia applicata ben poco dagli avvocati e quindi non abbia sortito neppure in minima parte l’effetto di ridurre il carico di lavoro degli ufficiali giudiziari.
Visto che il procuratore nell’esercizio delle funzioni di notificazione è pubblico ufficiale (art. 6 L. cit.), coerenza per un verso, piena applicazione del principio di lealtà e correttezza ex art. 88 c.p.c. per altro verso, avrebbero dovuto indurre il legislatore a devolvere al procuratore della parte la notificazione degli atti del processo in modo pieno ed esauriente.
Dopotutto la vocatio in ius è un atto di parte e non una funzione tipica dell’amministrazione della giustizia; che la citazione possa essere affidata ad un soggetto che non è espressione della Pubblica Amministrazione, non deve sorprendere: ciò che conta è la veridicità dell’atto.
Quest’ultima riflessione introduce il tema della possibilità di affidare funzioni pubbliche a colui che non è legato da un rapporto con la Pubblica Amministrazione, vale a dire al c.d. "privato".
La possibilità che sia il libero professionista a svolgere una funzione pubblica è ben nota. È vero che le funzioni pubbliche devono essere attribuite per lo più a soggetto legato alla Pubblica Amministrazione da un rapporto organico, però è pure vero che per legge possono essere introdotte deroghe a questo principio (art. 97 Cost.).
Senza alcuna pretesa di completezza, nelle pieghe dell’O.G. si trovano molti esempi di funzioni pubbliche esercitate da soggetto che non è legato da rapporto organico con la Pubblica Amministrazione.
Una delle più antiche e tradizionali libere professioni, fa di chi la esercita un pubblico ufficiale: il notaio.
Pubblico ufficiale è il curatore del fallimento (art. 30 L. fall.) e lo stesso vale per il commissario giudiziario nella procedura di concordato preventivo (art. 165 L. fall.).
Abbiamo già rilevato che il procuratore della parte all’atto della notifica di un atto del suo ufficio ai sensi della L. 53/1994 assume la qualifica di pubblico ufficiale.
Vi sono poi funzioni pubbliche che sono affidate a soggetti che instaurano un rapporto organico con la Pubblica Amministrazione senza il previo concorso ex art. 97 Cost.
La funzioni giurisdizionale in primo luogo; basti pensare al giudice di pace, al giudice onorario di tribunale; al membro non togato del tribunale minorile; al giudice delle commissioni tributarie.
La funzione inquirente può essere attribuita ad un viceprocuratore della repubblica onorario.
Nel processo di esecuzione forzata per espropriazione immobiliare il libero professionista può essere delegato dal G.E. alle operazioni di vendita dei beni pignorati (art. 591 bis c.p.c.).
Il consulente tecnico d’ufficio è un ausiliario del giudice reclutato fra i liberi professionisti (art. 13 disp. att. c.p.c.).
Se questo è il panorama, sia pure incompleto, offerto dall’O.G., nulla impedisce in linea di principio che molte funzioni oggi attribuite esclusivamente al cancelliere ed all’ufficiale giudiziario, siano devolute ad altri soggetti, non legati da un rapporto organico o di pubblico impiego con la Pubblica Amministrazione; più esattamente nulla osta a che siano devolute al procuratore della parte tutte quelle funzioni che sono legate strettamente al processo e che devono essere compiute in nome e nell’interesse della parte costituita in giudizio, oppure ad altro professionista, quando si deve compiere atti per i quali la terzietà dell’agente è elemento irrinunciabile.
In tutti i questi casi il professionista deve assumere la qualifica di pubblico ufficiale.
Passando al dettaglio, la prima funzione che può essere attribuita al procuratore della parte è quella dell’autentica delle copie degli atti processuali.
La riforma auspicata dovrebbe prevedere che il cancelliere rilascia al procuratore una prima copia autentica, dopo di che il procuratore autentica in proprio ogni altra copia tratta della prima copia autentica rilasciata dal cancelliere.
Ove si consideri lo sviluppo dato di recente alla comunicazioni telematiche da parte delle cancellerie e che il legislatore consente di inviare per via telematica copie di atti che poi sono autenticate dal destinatario (L. 7 giugno 1993 n° 183, sulla trasmissione fra procuratori della parte per telefax degli atti processuali), non vi è nulla di originale nel sostenere che il cancelliere possa inviare con mezzo telematico al procuratore copia di atto processuale previa certificazione della conformità all’originale e che le copie successive siano tratte dal questa prima copia ad opera del procuratore destinatario.
I vantaggi di questa soluzione sono molteplici.
Primo, le operazioni sarebbero molto più rapide; secondo, il cancelliere assolverebbe alla funzione certificatoria una ed una sola volta, potendo quindi dedicarsi ad altri compiti fondamentali per la buona gestione del processo; terzo, gli uffici non sarebbero più affollati (è l’atto che viaggia e non l’utente); quarto, attrezzature e materiali di consumo sarebbero utilizzati in misura molto minore rispetto al momento attuale con notevole risparmio economico; ultimo, ma non per ultimo, il procuratore avrebbe più libertà nell’utilizzo delle copie dell’atto processuale a tutto vantaggio dell’efficacia e celerità del suo operato (si pensi alla necessità di estendere la notifica dell’atto processuale ad altre parti; od alla necessità di rinnovare la notifica).
L’altra funzione che dev’essere devoluta completamente al procuratore della parte è quella della notificazione degli atti processuali, completando l’opera riformatrice avviata con la L. 53/1994. Il procuratore legale deve sostituire l’ufficiale giudiziario per la notifica di tutti gli atti inerenti al processo, quale che sia la forma della notifica, modificando l’art. 4 L. cit.
Deve poi essere eliminata quella vera e propria ossessione formale che è data dall’apposizione del timbro postale sull’atto notificato a mezzo posta (art. 3 lett. b, L. 53/1994); se è vero – com’è vero che il procuratore è pubblico ufficiale – la data apposta sulla relata di notifica da questi deve necessariamente fare fede fino a querela di falso.
In tema di processo di esecuzione il procuratore della parte deve sostituire l’ufficiale giudiziario nel compimento degli atti di esecuzione che si risolvono nella notificazione di un’intimazione a non disporre del bene staggito; il riferimento è all’atto di pignoramento immobiliare ed all’atto di pignoramento presso terzi, atti che non richiedono l’azione materiale sul bene.
Forse vale la pena di rilevare che nella prassi questi atti sono predisposti dalla parte e solo formalmente provenienti dall’ufficiale giudiziario.
Infine osserviamo che l’atto di pignoramento immobiliare dovrebbe essere immediatamente trascritto a cura dell’ufficiale giudiziario (art. 555, cpv., c.p.c.); tuttavia quest’ultimo ha sempre “preteso” che il creditore procedente richieda di poter provvedere personalmente all’incombente della trascrizione del pignoramento ai sensi dell’art. citato, ultimo comma.
In definitiva la partecipazione dell’ufficiale giudiziario all’atto di pignoramento immobiliare e presso terzi è solo esteriore.
È opportuno che il Sig. Ministro sappia che attualmente in molti uffici non si può richiedere il compimento di atti esecutivi appena decorso il termine dell’art. 472 c.p.c.
Gli atti semplicemente non sono accettati e devono essere presentati in prossimità della scadenza dell’efficacia del precetto; oppure – se accettati – restano in giacenza fino a quando non si approssima quella scadenza. Ciò a causa della già denunciata cronica carenza di organico che impedisce agli ufficiali giudiziari di assolvere alle loro funzioni, assicurando il buon andamento dell’ufficio, ed in tal modo assicurare alla parte vittoriosa, addirittura munita di titolo esecutivo, «tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di conseguire» secondo al celeberrima frase di G. Chiovenda.
Nessuno si illude che lo Stato adegui gli organici degli ufficiali giudiziari alle attuali esigenze, ma almeno si liberi costoro da oneri formali che possono ben – forse meglio – essere assolti dalla parte interessata; in tal modo sarebbe finalmente garantita l’effettività della tutela esecutiva, laddove non si può prescindere dall’opera dell’ufficiale giudiziario (terzo): penso all’esecuzione del pignoramento mobiliare, all’esecuzione per consegna e rilascio, all’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, esecuzioni che si estrinsecano nell’azione materiale diretta sulle cose.
Lo stesso può ripetersi tal quale con riferimento al sequestro.
* * * * *
Le modeste innovazioni proposte che precedono sono di immediata attuazione e giova ripetere, senza oneri per lo Stato e senza rivoluzionare l’attuale organizzazione degli uffici ausiliari del giudice.
Una prospettiva di più ampio respiro comporta invece un nuovo assetto di questi uffici; la figura dell’ufficiale giudiziario potrebbe andare a sparire, devolvendo le funzioni oggi assolte da quest’ultimo al libero professionista terzo rispetto alle parti del processo, quando ciò appare opportuno, come sopra già evidenziato. Senza dimenticare che la funzione di notifica degli atti che non sono processuali o che non debbono essere compiuti necessariamente dal procuratore legale (si pensi al caso della notifica del verbale contenente la domanda giudiziale della parte che sta in giudizio personalmente ex art. 316, cpv., c.p.c.) può essere compiuta dal messo addetto all’Ufficio del Giudice di Pace; il messo potrebbe assumere anche le funzioni di ufficiale notificante ai fini dell’applicazione del Reg. CE n° 1348/2000 del 29 maggio 2000, in tema di notificazione e comunicazione negli stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile e commerciale.
Il personale eccedente andrebbe a colmare i vuoti negli organici delle cancellerie ancora una volta senza costi aggiuntivi per lo Stato.
In un’epoca nella quale la privatizzazione di importanti funzioni pubbliche e di rilevanti servizi pubblici che riguardano la collettività nel suo complesso, sono propagandati come l’unica cura per far evolvere il Paese e contenere il pubblico disavanzo, la proposta di affidare a liberi professionisti un servizio pubblico di cui in definitiva usufruisce una parte limitata dei cittadini non dovrebbe suscitare scalpore, né dar luogo a resistenze.
Le obiezioni alle riforme suggerite sono facilmente intuibili e si risolvono in una domanda: che controlla il libero professionista.
La domanda è mal posta, dato che neppure oggi l’affidamento al cancelliere ed all’ufficiale giudiziario delle funzioni ausiliare del processo garantisce in modo assoluto da comportamenti illeciti, comunque abnormi; neppure la funzione giurisdizionale è esente da questi pericoli.
La normativa penale a tutela della pubblica amministrazione e dell’amministrazione della giustizia, le disposizioni deontologiche che regolano l’esercizio della libera professione, costituiscono il deterrente necessario e sufficiente per garantire da condotte patologiche; semmai sarà opportuno rafforzare il potere disciplinare dei consigli degli ordini.
Non dobbiamo comunque dimenticare che il miglior e più penetrante controllo sull’operato di colui che esercita una pubblica funzione di natura processuale è effettuato dal destinatario dell’atto; atto che è sempre soggetto al vaglio del giudice.
Certo è che addurre inconvenienti non è risolvere il problema.
Marco Orsenigo - avv.orsenigo@orsenigoridi.it
Avvocato in Firenze


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