Questo breve commento vuol sottolineare, affinché non possa sfuggire ad una lettura ‘leggera' e veloce della recente sentenza del 29 maggio, l'interessante principio ribadito dal Giudice delle leggi. Ossia, l'indiscutibile ‘fondamentalità' del diritto di difesa delle parti in una sua rilevante espressione endo-processuale: il diritto al termine a difesa.
Compare l'istituto della conciliazione giudiziale (1) quale scenario della paventata lesione del diritto di difesa ad opera dell'art.48, co 4, D. Lgs n.546/92, nella parte in cui non prevede un termine ‘a difesa' per il caso in cui la conciliazione giudiziale sia proposta d'ufficio dalla stessa Commissione Tributaria. Per l'ipotesi, difatti,sia la norma di cui si contesta la costituzionalità (art. 48, co 4) sia il precedente comma 2 (disciplinante la fattispecie della conciliazione proposta d'ufficio), nulla dispongono circa il differimento dell'udienza allorché la conciliazione non abbia luogo nel corso della prima udienza. Contrariamente, è sancito (art. 48, co 4) che, se la conciliazione giudiziale sia esperita su istanza di una delle parti e non abbia luogo nel corso della prima udienza, il Giudice potrà assegnare un termine non superiore a 60 gg. per la formazione di una proposta di cd "conciliazione aderita" (v. art.48, co 5).
Andiamo a particolareggiare la questione sollevata dalla Commissione Milanese davanti alla Consulta; due società per azioni, raggiunte da un avviso di rettifica - imposta di registro - del valore di un ramo d'azienda compravenduto, unitamente all'Ufficio chiedono all'udienza di trattazione un termine per verificare la proposta di conciliazione formulata dal Giudice. Il Collegio ritiene che, in assenza di una espressa previsione normativa in tal senso attinente la conciliazione d'ufficio, non possa concedere il termine a difesa; dunque, solleva la questione di legittimità costituzionale dell'art.48, comma quarto, decreto legislativo sul contenzioso tributario, per violazione dell'art.3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza.
La Consulta dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale per non avere proceduto il Giudice rimettente ad una "compiuta sperimentazione del tentativo di dare una lettura costituzionalmente conforme della norma impugnata (in tema, ordinanze n.212,n.103 e n.101 del 2011)"; limitandosi all'inverso "ad affermare che la lettera della legge non consente alcuna interpretazione adeguatrice."
Secondo l'eccellentissimo Consesso Giudicante, invero, il diritto di difesa delle parti (contribuente ed ente impositore),nella sua precipua esplicazione endo-processuale del diritto al rinvio dell'udienza per verificare la possibilità di esperire la conciliazione d'ufficio, non sarebbe affatto pregiudicato, atteso che la sospetta lacuna normativa è colmabile attraverso l'interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata del complesso delle norme di diritto processuale tributario e di quelle dell'ordinamento processuale generale. Applicabili, perchè in ipotesi di accordo giudiziale.
Al riguardo, verrebbero in rilievo: in primis, l'art. 34, co 3, primo periodo, D.Lgs n.546/92, a cui tenore all'udienza pubblica «la Commissione può disporre il differimento della discussione a udienza fissa, su istanza della parte interessata, quando la sua difesa tempestiva, scritta o orale, è resa particolarmente difficile a causa dei documenti prodotti o delle questioni sollevate dalle altre parti »; in secundis, l'art.183, co 3 c.p.c. a cui tenore all'udienza fissata per la prima comparizione delle parti e la trattazione « il giudice istruttore fissa altresì una nuova udienza se deve procedere a norma dell'art. 185», cioè, se deve esperire il tentativo di conciliazione.
In termini più generali, le norme processuali in sé perché attribuiscono al giudice - recita la sentenza - "poteri attinenti alla conduzione del processo e di cui lo stesso deve fare buon governo anche nel gestirne la scansione temporale, in un corretto equilibrio tra i diversi interessi costituzionalmente protetti." (2)
A livello dei principi fondamentali, quello del giusto processo di cui all'art. 111 Cost. nell'accezione della ragionevole durata del processo.
L'interpretazione combinata delle norme sopra enunciate giustificherebbe la Commissione, "in presenza della seria prospettazione delle parti dell'esigenza di rinvio ad altra udienza, a concedere il termine per esaminare la proposta di conciliazione esperita d'ufficio." Anche in assenza di una disposizione espressa, analoga alla norma di cui all'art.48, co 4.
La sentenza sostiene, con evidenza e senza esitazioni di sorta, la necessità di non pregiudicare il diritto di difesa delle parti nel caso; ma le argomentazioni offerte sono meritevoli di essere generalizzate in ogni ipotesi in cui il giudice, a fronte di un'apparente lacuna normativa, dubiti del suo potere di concedere termini a difesa od,oltre, di rimettere in termini la parte richiedente.
Quanto all'art.111, Cost., va sottolineato che per la Consulta il presupposto del diritto al termine è ravvisabile nella "possibilità di una rapida e semplificata chiusura del giudizio con il verbale di conciliazione." Il passaggio non è cristallino.
L'argomentazione in re ipsa tradisce, difatti, una distorsione del principio di ragionevole durata del processo, il quale va inteso, più che come generica garanzia di "giustizia tempestiva", quale rimedio effettivo contro il rischio che il soggetto resti a lungo sospeso per il riconoscimento del diritto per la cui tutela o difesa agisce in giudizio. Di sicuro, la mera conciliazione o raggiungimento di un accordo che, per definizione, costituisce sempre un ibrido tra l'ammissione e la negazione del diritto, non può realizzare il processo "giusto", nel senso di "giusta" definizione della controversia in tempi brevi. L'accordo realizza piuttosto un mezzo di deflazione del processo.(3)
Tuttavia una lettura contestualizzata del richiamo all'art.111, Cost., a mio avviso, assottiglia la spigolatura.
E' credibile che la proposta di conciliazione del Giudice, tendenzialmente, rifletta il suo convincimento verso la futura definizione della controversia, anticipando dunque, in certa misura, il contenuto del dispositivo ed, implicitamente, i correlati riconoscimento o negazione del diritto nella sua estensione.
Si faccia l'esempio pratico dell'avviso di rettifica Iva per accertamento di maggior volume d'affari: il contribuente impugna l'avviso di rettifica affermando la fondatezza in fatto ed in diritto del volume d'affari dallo stesso dichiarato; l'Ufficio sostiene l'accertamento in toto; il Giudice verifica un volume d'affari intermedio tra quello dichiarato e quello rettificato.
In quest'ottica, l'accettazione della proposta conciliativa del magistrato può avere un'effettiva valenza riduttiva dei tempi di giustizia, intesa come esperimento del giusto processo.
1)Si riporta il testo dell'art.48, D.Lgs n.546/92 , come modificato dall'art.23, D.L. n. 98, del 06.07.2011.
1. Ciascuna delle parti con l'istanza prevista dall' articolo 33, può proporre all'altra parte la conciliazione totale o parziale della controversia.
2. La conciliazione può aver luogo solo davanti alla commissione provinciale e non oltre la prima udienza, nella quale il tentativo di conciliazione può essere esperito d'ufficio anche dalla commissione.
3. Se la conciliazione ha luogo, viene redatto apposito processo verbale nel quale sono indicate le somme dovute a titolo d'imposta, di sanzioni e di interessi. Il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute mediante versamento diretto in un'unica soluzione ovvero in forma rateale, in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo, ovvero in un massimo di dodici rate trimestrali se le somme dovute superano i 50.000 euro. La conciliazione si perfeziona con il versamento, entro il termine di venti giorni dalla data di redazione del processo verbale, dell'intero importo dovuto ovvero della prima rata. Per le modalità di versamento si applica l' articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1994, n. 592 . Le predette modalità possono essere modificate con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro.
3-bis. In caso di mancato pagamento anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, il competente ufficio dell'Agenzia delle entrate provvede all'iscrizione a ruolo delle residue somme dovute e della sanzione di cui all' articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 , applicata in misura doppia, sul residuo importo dovuto a titolo di tributo.
4. Qualora una delle parti abbia proposto la conciliazione e la stessa non abbia luogo nel corso della prima udienza, la commissione può assegnare un termine non superiore a sessanta giorni, per la formazione di una proposta ai sensi del comma 5.
5. L'ufficio può, sino alla data di trattazione in camera di consiglio, ovvero fino alla discussione in pubblica udienza, depositare una proposta di conciliazione alla quale l'altra parte abbia previamente aderito. Se l'istanza e' presentata prima della fissazione della data di trattazione, il presidente della commissione, se ravvisa la sussistenza dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità, dichiara con decreto l'estinzione del giudizio. La proposta di conciliazione ed il decreto tengono luogo del processo verbale di cui al comma 3. Il decreto e' comunicato alle parti ed il versamento dell'intero importo o della prima rata deve essere effettuato entro venti giorni dalla data della comunicazione. Nell'ipotesi in cui la conciliazione non sia ritenuta ammissibile il presidente della commissione fissa la trattazione della controversia. Il provvedimento del presidente e' depositato in segreteria entro dieci giorni dalla data di presentazione della proposta.
6. In caso di avvenuta conciliazione le sanzioni amministrative si applicano nella misura del 40 per cento delle somme irrogabili in rapporto dell'ammontare del tributo risultante dalla conciliazione medesima. In ogni caso la misura delle sanzioni non può essere inferiore al 40 per cento dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo.
2) E' appena il caso di notare che le parti del processo tributario non sono portatori di ‘diversi interessi costituzionalmente protetti' da ricondurre ad un esatto equilibrio; qui, l'interesse infatti appare unico e coincidente ed è ravvisabile in quello tutelato dall'art. 53, Cost., cioè il dovere/diritto di contribuire alle spese pubbliche secondo un parametro di personale capacità reddituale (principio di capacità contributiva). Speculare, il diritto/dovere all'imposizione nel rispetto della capacità reddituale. Del resto la conciliazione riguarda, proprio, il quantum dell'obbligazione tributaria (imposta e sanzioni).
E' palese, dunque, che il riferimento è a vari principi fondamentali, quali il diritto di difesa (art.24, Cost.) e quello di celerità processuale (art.111, Cost.).
3) in tal senso, v. pure Cass., Sez. V,18.04.2007 n. 9222; Cass., Sez. V, 03.10.2006, n.21325.
Avv. Francesca Cosentino
Foro di Catania
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