Spesso con la dicitura "comodato precario" ci si riferisce al caso in cui i genitori (o in genere i parenti) , per favorire una giovane coppia, concedono in comodato agli sposi un immobile da adibire a casa coniugale. Il comodato è infatti un contratto a titolo essenzialmente gratuito, con cui una parte consegna all'altra una cosa mobile o immobile (solitamente per un tempo o un uso determinato) con l'obbligo per il comodatario di restituire la cosa ricevuta (art. 1803 c.c. e seguenti). In codesto modo , si fa fronte sempre più frequentemente alla mancanza di adeguati redditi per le istituende famiglie , le quali difficilmente possono permettersi l'acquisto di una nuova abitazione. Se gli sposi poi decidono di separarsi, notevoli problemi si pongono, laddove il Giudice assegni la casa al coniuge a cui vengono affidati i figli, infatti non è chiaro se in questo caso il comodante possa chiedere in qualsiasi momento la restituzione dell'immobile. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nell' ormai lontano 2004, con la sentenza n°13603 ha affermato che con il contratto di comodato stipulato in favore di un nucleo familiare (già formato o in via di formazione), le parti hanno inteso destinare l'immobile alle esigenze abitative della famiglia e conseguentemente conferire a tale uso il carattere implicito della durata del rapporto (comodato non precario ma a tempo, che se non scaduto,legittima la richiesta di restituzione solo per un grave ed impreveduto bisogno del comodante). Nel 2010 però, la Corte di Cassazione, Sez. III con la sentenza n°15986 si è espressa in senso diametralmente opposto, affermando che il contratto con cui viene concesso un immobile a una coppia di sposi, affinché gli stessi lo adibiscano a casa familiare, è un comodato senza determinazione di durata (si ritorna a qui al "comodato precario") e quindi il comodante può chiedere in ogni momento la restituzione della cosa, non assumendo, per tale indirizzo, alcun rilievo il fatto che l'immobile sia stato adibito a uso familiare e sia stato assegnato in sede di separazione. Il Giudice motiva la decisione, statuendo che, il diritto dominicale del proprietario, reimpiegato contrattualmente, non può soccombere dinnanzi al diritto all'utilizzazione dell'immobile adibito a "casa coniugale", soprattutto perchè il comodante resta terzo rispetto al rapporto di coniugio. Tale sentenza è rimasta abbastanza isolata, infatti in questi ultimi due anni, gli ermellini sono ritornati ad abbracciare nuovamente l' indirizzo del 2004. Con sentenza n°4917/2011, i Giudici della Terza Sezione Civile della Suprema Corte hanno espressamente affermato che "una volta chiarito che la madre di uno dei coniugi ha concesso in comodato l'immobile perchè venisse adibito a casa familiare, il successivo provvedimento, intervenuto nel giudizio di separazione, di autorizzazione a favore di uno di essi […] ad abitare la casa stessa, emesso nei limiti normativi di cui all'art. 155 c.c., comma 4, non è opponibile al comodante, allorchè, […] lo stesso chieda la restituzione nell'ipotesi di sopravvenuto bisogno, segnato dai requisiti dell' urgenza e della non prevedibilità, ai sensi dell'art. 1809, comma II c.c.". Volge in tal senso anche Cass. Civ. Sezione III, n°2103/2012, la Corte, richiamando la succitata sentenza delle S.U. n. 13603/2004, ha aggiunto che "secondo tale orientamento, il comodato adibito ad uso casa coniugale rientrerebbe nell'ipotesi di cui al comma l dell'art. 1809 c.c., la cui restituzione pertanto, resta legata al termine dell'utilizzo. Nel caso in esame, essendo venuta meno la convivenza ed in mancanza di un provvedimento giudiziale di assegnazione del bene oggetto di comodato, è venuto meno anche lo scopo di quest'ultimo". Tutto ciò premesso, con l'ordinanza di rimessione n. 15113/2013 la Cassazione ha giustappunto rimesso la questione alle SU per dirimere tale attualissimo contrasto giurisprudenziale. La linea seguita ed indicata anche dal giudice rimettente, va nel senso che negare del tutto la possibilità per il comodante di riavere l'immobile non sarebbe ossequioso del dettato del codice civile, il quale prevede che il comodante possa recedere nell' ipotesi di urgente ed impreveduto bisogno (art. 1809 c.c.), per cui le aspettative della famiglia non possono annullare del tutto il diritto del proprietario/comodante. Si potrebbero bilanciare gli opposti interessi, entrambi di rango costituzionale, concedendo un termine al coniuge/comodatario affinchè possa trovare un altro immobile dove sistemarsi., e si precisa nella stessa ordinanza come in mancanza di accordo, il termine vada stabilito dal giudice, alla luce della valutazione delle circostanze del caso concreto. Tirando le dovute somme, per i Giudici della Cassazione fatta salva l'isolata e solitaria pronuncia del 2010, il contratto di comodato, stipulato in favore di un nucleo familiare, è qualificabile quale comodato con determinazione di durata (non precario), poiché si è inteso destinare l'immobile alle esigenze abitative della famiglia e pertanto conferire a tale uso il carattere implicito della durata del rapporto. Se il Giudice della separazione, autorizza uno solo dei coniugi ad abitare la casa coniugale, bisogna ritenere che l'uso per il quale il contratto era stato originariamente stipulato non sia venuto meno, con la conseguenza che il comodante potrà chiedere la restituzione dell' immobile solo laddove sia sopravvenuto un suo urgente e imprevedibile bisogno. Ora la "palla" è passata alle Sezioni Unite e non ci resta che attendere.
Avv. Gilda Summaria - Altri articoli di Gilda Summaria
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