di Marco Massavelli - Tempo d'estate, tempo di spettacoli e intrattenimenti pubblici, organizzati da enti istituzionali o soggetti privati, in luoghi pubblici o aperti al pubblico. E di regola, i pubblici intrattenimenti si accompagnano con il classico disturbo della quiete pubblica. E il disturbo, o il presunto tale, viene segnalato dai soggetti che si ritengono fortemente danneggiati, alle Forze dell'Ordine, con particolare riguardo agli organi di polizia locale, competenti in materia, che sono cosi chiamati a intervenire e applicare le sanzioni previste dai regolamenti comunali di polizia urbana, o la disciplina penalistica, prevista dall'articolo 659, codice penale
, a seconda della situazione accertata. Sul dovere di intervento degli agenti preposti, in un caso di disturbo della quiete pubblica, è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione Penale, che con sentenza 26 giugno 2013, n. 27905, ha statuito che non risponde di omissione di atti d'ufficio l'agente di polizia municipale che da solo in servizio rifiuta un intervento di fronte al disturbo della quiete pubblica determinata da un pubblico intrattenimento, esercitando una discrezionalità giustificabile dalla difficoltà di gestire una situazione così complessa da non poter essere risolta senza l'ausilio delle Forze dell'ordine.
Il caso riguarda un agente della polizia municipale che presente, la notte della festa, nelle vicinanze di luogo ove si svolgeva il pubblico intrattenimenti, per ragioni di servizio, fu richiesto, ripetutamente ed in modo pressante, dai residenti di intervenire per far cessare le musiche assordanti che da lì provenivano. L'agente a fronte di tali insistenti richieste di intervento mantenne sempre un atteggiamento di silente inerzia rimanendo a braccia conserte e senza fornire alcuna spiegazione riguardo alla sua condotta omissiva. Successivamente intervenne una pattuglia dell'Arma dei Carabinieri e dalla testimonianza del Brigadiere intervenuto si comprende come, in ragione del gran numero di persone presenti nel particolare contesto della festa, risultasse chiara la difficoltà di gestire l'ordine pubblico in caso di intervento delle forze dell'ordine per ordinare la cessazione della festa o impedirne la prosecuzione in quelle modalità. Questa è la ragione per la quale, essendo pochissime le unità delle forze dell'ordine presenti, non vi fu il primo intervento richiesto dagli abitanti della zona.
Questa, quindi, appare la ragione per il mancato intervento dell'agente di polizia municipale, ancor più condizionato dalla difficoltà di intervenire per essersi trovato da solo in parte dell'arco temporale nel quale si era realizzata la condotta dei gestori la serata danzante. Tali circostanze di fatto, quindi, fanno ritenere in termini di certezza, a fronte di un'acquisizione probatoria evidentemente completa, che l'agente di polizia municipale non intese deliberatamente rifiutare l'atto di ufficio ma rilevò, cosi come i carabinieri, l'impossibilità di un intervento immediato senza rischi per l'ordine pubblico.
Poco rileva, anche nel contesto della ricostruzione dei fatti, la condotta apparentemente suggestiva di restare "inerte" e non rispondere, stando "a braccia incrociate". Non è condotta che influisca sulla qualificazione del mancato intervento; peraltro, proprio dalla complessiva ricostruzione della vicenda risulta come le evidenti condizioni di rabbia dei residenti della zona che premevano sulle forze dell'ordine per un intervento repressivo possano ben avere indotto il ricorrente, al fine di evitare reazioni incontrollabili, a non riferire della sua pur ragionevole scelta discrezionale di non bloccare immediatamente la festa. Cosicché l'agente di polizia municipale deve andare esente da responsabilità penale per rifiuto di atti d'ufficio.