di Gerolamo Taras - Ancora un esempio di giustizia lenta e, soprattutto, ancora guai per la Pubblica Amministrazione causati da una lettura negligente e colposa della legge 241/90 -in questo caso dell' art. 18, il quale non consente di annettere conseguenze svantaggiose per il cittadino alla mancata allegazione di atti e documenti comunque già in possesso dell'amministrazione-.
Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 04310/2013 del 28/08/2013 ha, finalmente, scritto la parola fine su una vicenda iniziatasi nel 1989.
Il professor C. era stato escluso dalla graduatoria definitiva di un concorso per soli titoli, per non aver allegato alla domanda di partecipazione alla selezione il diploma di qualifica, ma solamente l'elenco dei servizi prestati, fra il 10 settembre 1982 e il 31 agosto 1989, presso la Pubblica Amministrazione.
Il Tar della Toscana -sentenza n. 95 del 1992- aveva respinto il ricorso presentato dall' insegnante contro il Provvedimento del Ministero della Pubblica Istruzione.
Il Consiglio di Stato -sentenza n. 6034 del 2000- aveva, invece, accolto l'appello contro la decisione del TAR, presentato nel 1992 e aveva dichiarato l'illegittimità della graduatoria per la parte che escludeva il signor C. Secondo il Giudice di appello, infatti "anche nelle procedure concorsuali si applica il disposto dell'art. 18, L. 7 agosto 1990, n. 241, con la conseguenza che non devono essere esibiti i documenti già in possesso dell'Amministrazione".
Di conseguenza la mancata allegazione in sede di presentazione della domanda del diploma di qualifica non poteva comportare l'esclusione dell'appellante dalla procedura in quanto egli, comunque, aveva allegato atti idonei a comprovare aliunde - e sulla base di atti in possesso dell'amministrazione - il possesso del necessario diploma di qualifica.
A seguito della sentenza, l' Amministrazione disponeva l' inserimento dell'insegnante nella graduatoria definitiva del concorso e provvedeva alla sua assunzione. Tuttavia il professor C. forte della decisione del giudice di appello, sentendosi danneggiato dal comportamento colposo della Pubblica Amministrazione - che aveva comportato un ritardo di circa dodici anni per l'effettiva assunzione in servizio- proponeva (nel 2007) presso il TAR Toscana ricorso per il risarcimento dei danni subiti nel corso dell'intera vicenda.
Ricorso ritenuto infondato e, di conseguenza, respinto nel 2009.
Nel 2010, quindi, nuovo ricorso presso il Consiglio di Stato. Nel 2013, finalmente, la decisione definitiva sulla richiesta di risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti a causa del ritardo nell'assunzione.
Il Consiglio di Stato, pur disattendendo le conclusioni del Giudice di primo grado sulla qualificazione colpevole del Comportamento della Pubblica Amministrazione, ha accolto-solo parzialmente- le richieste risarcitorie dell'appellante. Questi i principi giurisprudenziali richiamati dalla Sezione a supporto della decisione.
"Nel caso di ritardata costituzione di un rapporto di impiego conseguente all'illegittima esclusione dalla procedura di assunzione, spetta all'interessato il riconoscimento della medesima decorrenza ai fini giuridici attribuita a quanti siano stati nella medesima procedura nominati tempestivamente, mentre non può riconoscersi (ai fini economici) il diritto alla corresponsione delle retribuzioni relative al periodo di ritardo nell'assunzione. Ciò in quanto detto diritto, in ragione della sua natura sinallagmatica, presuppone necessariamente l'avvenuto svolgimento dell'attività di servizio". "Tuttavia, pur non potendo ….considerare come avvenuta la prestazione del servizio - cui l'ordinamento ricollega il diritto alla retribuzione (pena la violazione del principio di corrispondenza tra esercizio dell'attività lavorativa e retribuzione)- può nondimeno spettare relativamente a detto periodo, in presenza dei presupposti di legge di cui all'art. 2043 c.c., il risarcimento del danno ingiusto patito in conseguenza delle illegittimità attizie realizzate dall'amministrazione (in tal senso: Cons. Stato, V, 27 marzo 2013, n. 1773)".
Per quanto riguarda la ricorrenza di questi presupposti nella controversia, il Consiglio di stato osserva: "è' stato condivisibilmente affermato al riguardo che, in tema di responsabilità della pubblica amministrazione, l'ingiustizia del danno non può considerarsi sussistente in re ipsa, quale conseguenza della illegittimità dell'esercizio della funzione amministrativa o pubblica in generale, dovendo in realtà il Giudice procedere ad accertare che sussista un evento dannoso; che il danno sia qualificabile come ingiusto (in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l'ordinamento); che l'evento dannoso sia riferibile, sotto il profilo causale, ad una condotta della pubblica amministrazione; che l'evento dannoso sia imputabile a responsabilità della Pubblica amministrazione anche sotto il profilo oggettivo del dolo o della colpa (in tal senso -ex plurimis -: Cons. Stato, V, 2 maggio 2013, n. 2388)". Presupposti tutti riscontrati nel caso di specie dai Giudici che hanno rilevato la sussistenza di una condotta illecita foriera di un danno ingiusto, accertato con sentenza passata in giudicato (precedente sentenza n. 6034 del 2000) e meritevole di ristoro patrimoniale, non essendo evidentemente possibile (per il periodo di mancata assunzione che va dal 1989 al 2001) la reintegrazione in forma specifica di cui all'articolo 2059 cod. civ.
Interessanti, e quanto mai attuali, le considerazioni svolte dal Giudice di Appello sulla sussistenza dell' elemento soggettivo della colpa. Il Consiglio di Stato non accoglie le considerazioni svolte dal TAR sulla scusabilità dell'errore dell' Amministrazione che ha determinato l'esclusione del prof. C. dalla procedura. In particolare quelle per cui, solo il quadro normativo successivo all'entrata in vigore della l. 241 del 1990, avrebbe innovato in ordine ai presupposti e alle condizioni per ritenere la regolarità della domanda di partecipazione. Infatti, il possesso da parte del prof. C. del diploma di qualifica di odontotecnico era certamente noto e comunque, facilmente evincibile dall'amministrazione, laddove quest'ultima avesse fatto coerente applicazione di ordinari canoni di buona amministrazione, certamente preesistenti all'entrata in vigore della richiamata l. 241 del 1990.
Come a dire che l' illegittimità dell'azione amministrativa - con le inevitabili conseguenze risarcitorie - si manifesta non solo per la violazione di norme scritte, ma anche per l'inosservanza delle regole elementari del buon senso e della ragionevolezza, che dovrebbero ispirare i comportamenti di tutti i soggetti chiamati ad assumere decisioni importanti che incidono, profondamente, sulla vita delle persone.
La decisione sul quantum risarcitorio. All' appellante viene, attribuito un atteggiamento opportunistico e contrario ai canoni della buona fede, per non essersi avvalso durante il procedimento di appello dei provvedimenti cautelari predisposti dall' ordinamento. Rimedi che avrebbero potuto impedire,a detta dei Giudici, almeno in parte, le conseguenze dannose del comportamento colposo dell' Amministrazione. Viene richiamata, a questo proposito, la regola della non risarcibilità dei danni che si sarebbero potuti evitare con l'impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione e degli altri strumenti di tutela previsti dall'ordinamento (ivi compresa l'attivazione dei rimedi cautelari), da ultimo sancita dal comma 3 dell'articolo 30 del cod. proc. amm. "il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti (Adunanza plenaria di questo Consiglio 23 marzo 2011, n. 3)".
"Detta omissione, apprezzata congiuntamente alla successiva proposizione di una domanda tesa al risarcimento di un danno che la tempestiva azione di annullamento avrebbe scongiurato, rende configurabile un comportamento complessivo di tipo opportunistico che viola il canone della buona fede e, quindi, in forza del principio di auto-responsabilità cristallizzato dall'art. 1227, comma 2, c.c., implica la non risarcibilità del danno evitabile".
Per cui si deve ritenere che se l'odierno appellante avesse tempestivamente attivato tutti i rimedi di giustizia (in primis: cautelari) posti a sua disposizione dall'ordinamento, con ogni probabilità avrebbe conseguito l'iscrizione in graduatoria e l'immissione in servizio in tempi più rapidi rispetto a quelli in concreto determinatisi.
Per queste ragioni, il Collegio ha ritenuto congruo che, in parziale accoglimento della domanda risarcitoria, l'amministrazione appellata sia condannata al versamento delle somme corrispondenti al 50 per cento delle retribuzioni e delle indennità contrattualmente dovute per il periodo dal 1° settembre 1989 al 1° settembre 2001, nonché al pagamento delle somme corrispondenti ai versamenti dei contributi previdenziali e di TFR relativi al medesimo periodo e sui medesimi importi, nonché - ancora - all'adeguamento dell'anzianità sugli stipendi percepiti dal 1° settembre 2001.
Non ha trovato, invece, accoglimento la domanda proposta dal prof. C., volta ad ottenere il ristoro del danno non patrimoniale asseritamente patito, in conseguenza della vicenda dinanzi descritta, in quanto il richiedente non ha dimostrato sia nell'an che nel quantum, il pregiudizio subito, in un rapporto di causalità con il comportamento del soggetto danneggiante (in tal senso: Cons. Stato, IV, 7 febbraio 2013, n. 23).
Sentenza n. 04310/2013