La riforma forense scricchiola. I sei mesi a disposizione del Governo per l'esercizio della delega sulle società tra avvocati è scaduto il 4 agosto. Una scelta politica per non creare una disciplina speciale ed evitare frizioni a livello comunitario. Questa la motivazione del Ministero. Ricapitoliamo la vicenda. La riforma forense (legge 247/12), approvata dal Parlamento sul filo di lana e tradottasi nell'ultima fatica del governo Monti, aveva sottratto gli avvocati alla liberalizzazione delle STP (società tra professionisti, legge 183/11). Un risultato politico importante e un traguardo storico fondamentale con cui di fatto veniva superata la normativa precedente vecchia di quasi ottanta'anni. Il testo della legge non si limitava a delegare al governo alcune questioni spinose, ritenute evidentemente scomode o piuttosto, secondarie - come appunto la disciplina dell'organizzazione degli studi legali in forma societaria - ma poneva anche dei paletti per evitare che il Governo potesse commettere leggerezze o avere ripensamenti - ad esempio, niente soci di capitale-. L'esecutivo disponeva appunto di sei mesi per procedere alla regolamentazione delle società tra soli legali ma, per incompatibilità con leggi europee, la questione è stata archiviata. Anzi demolita!Non si è trattato quindi di una svista o di una dimenticanza dovuta ad altre urgenze o contingenze (Imu, Iva…), ma di un precisa presa di posizione, di una scelta politica tesa a non creare una disciplina speciale. "L'esercizio della delega avrebbe creato frizioni comunitarie con il rischio dell'apertura di un nuovo procedimento di infrazione", ha commentato il sottosegretario Cosimo ferri. L'Ue si era già espressa in merito con la procedura di pre-infrazione Eu Pilot 1753/11/Mark, censurando l'Italia a causa delle norme che impedivano ad avvocati stranieri stabiliti nel Paese di costituire una società tra professionisti senza che vi fosse almeno un avvocato italiano tra i soci. Obbligo eliminato con la legge 97/2013. Quali saranno le conseguenze della scelta di non procedere con la disciplina prevista dalla riforma forense? Tutto è ancora da verificare. Sul piano teorico, tra gli effetti collaterali, si configurerebbe il ritorno in auge del socio di capitali: gli avvocati potrebbero mettersi in società con professionisti appartenenti ad altre categorie (ad esempio commercialisti) e persino accogliere nelle loro Stp (società tra professionisti) i soci di capitale, da alcuni ritenuti i nemici giurati dell'indipendenza dello studio. Le reazioni e i pareri sono discordanti e gli scenari che potrebbero aprirsi sono contraddittori. Da una parte c'è chi pensa che il rifiuto di ottemperare ad una delega disposta dalla legge sia uno schiaffo all'avvocatura stessa. Dall'altro c'è invece chi ritiene che la mossa sia legittima e ammissibile, in quanto si porrebbe palesemente in contrasto con le norme europee. agli avvocati italiani non resta quindi che rassegnarsi ed accettare di essere un categoria professionale come tutte le altre? Il 30 agosto è giunta una nota del Consiglio nazionale forense che ha definito "impensabile che il Ministero della Giustizia abbia preferito - silenziosamente e proditoriamente - aspettare la scadenza del termine per applicare agli avvocati regole diverse da quelle che il Parlamento ha approvato. Si tratterebbe di un omissione volontaria di un dovere, oltre che di un atto politicamente astruso. Un chiarimento del Ministero è dunque necessario, per evitare confusione, e per evitare che fidando su (o profittando di) interpretazioni inesatte o avventurose siano costituite oggi società professionali che sarebbero nulle, con grave danno per i cittadini che vedrebbero travolti i loro diritti nei procedimenti promossi da avvocati operanti nell'ambito di una società nulla".
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