Avv. Lucia Emanuela Guerra - Breve monografia sui tratti essenziali delle garanzie personali tipiche e atipiche, con specifica puntualizzazione del relativo regime giuridico circa l’istituto della Promessa dell’obbligazione del terzo, le Lettere di patronage, le Fideiussioni con clausole "Solve et repete" e a "prima richiesta", le Polizze fideiussorie e le cd. "Garanzie autonome”.
L’istituto di matrice tipicamente civilistica delle garanzie personali tipiche altro non è se non un genus non disciplinato in termini generici dal Codice civile, semmai elaborata quale categoria giuridica da dottrina e giurisprudenza sulla scorta del negozio giuridico specificamente individuato dal L. nel Libro IV del Codice Civile intitolato “Dei singoli contratti”, al Capo XXII interamente dedicato, per l’appunto, all’istituto della fideiussione ex artt. 1936 c.c. e ss., che costituisce insieme una species delle garanzie de qua, nonché il prototipo delle stesse, sul cui canovaccio sono state poi apportate modifiche più o meno pregnanti in ragione di scopi peculiari da tutelare giuridicamente rilevanti, dando così vita in contrapposizione alle c.d. garanzie personali atipiche.
Segnatamente, è opportuno delineare il campo entro il quale le stesse operano, posto che l’ordinamento civilistico conosce varie forme di garanzie e ciò in ragione del fatto che trattasi di istituti che ben si attagliano alle finalità proprie perseguite dall’ordinamento di cui in parola, sebbene le stesse siano però di varia natura tenuto conto delle peculiari esigenze cui sono preposte. In tal senso, infatti, si tende a distinguere la c.d. garanzia per l’evizione, il cui prototipo si rinviene nel contratto di compravendita
come disciplinata dal combinato disposto di cui agli artt. 1476 c.c. e 1483- 1484 c.c., che nella specie costituisce una delle principali obbligazioni che il L. espressamente prevede in capo al venditore nei confronti del compratore, a garanzia del corretto svolgimento delle prestazioni contrattuali sinallagmatiche. Ora, tale forma di garanzia è generalmente prevista per i vari moduli contrattuali tipicamente disciplinati, al fine di garantire, per l’appunto, anche la corretta esecuzione del contratto nel rispetto del più generale principio di buona fede che permea di sé l’ordinamento civile.Dalla garanzia di cui si discute, bisogna poi distinguere le c.d. garanzie personali tipiche che ci occupano e che, come anticipato, rinvengono nella fideiussione
ex art. 1936 c.c. il loro prototipo, le quali perseguono quale finalità impressa dal L. quella di rafforzare il credito, garantendolo mediante l’aggiunta, alla garanzia già fornita dalla solvibilità del debitore, di un’ulteriore garanzia, ossia quella fornita dalla capacità di solvibilità di un altro soggetto, sub specie il fideiussore.In tal senso si parla di garanzie personali contrapponendole a quelle reali come disciplinate dal Codice civile nel Libro VI, alle quali generalmente si riconducono tipicamente l’ipoteca e il pegno, e che hanno quale finalità quella di garantire il credito, mediante l’imposizione di un vincolo di carattere per l’appunto reale su cespiti patrimoniali del debitore, tenuto conto della previsione
generale di cui all’art. 2740 c.c. in forza della quale il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Ciò premesso, della fideiussione in quanto negozio giuridico tipico il Legislatore non fornisce alcuna definizione, semmai all’art. 1936 c.c. individua la definizione di fideiussore, come colui che, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui; specificando altresì al 2 comma, quale peculiarità intrinseca della stessa, che la fideiussione è efficace anche se il debitore non ne ha conoscenza.
In ragione del fatto che il Legislatore non definisca espressamente l’istituto di cui in parola quale contratto, come nella generalità dei casi in cui disciplina i vari moduli contrattuali tipici in seno al Codice civile, nel Libro IV, ha indotto la dottrina più attenta e insieme parte della giurisprudenza a inquadrare in modo non del tutto omogeneo la fideiussione, talvolta sussumendo la stessa sotto lo schema proprio del contratto con obbligazione del solo proponente ex art. 1333 c.c., in ragione dell’obbligazione assunta dal fideiussore nei confronti del creditore; talaltra sotto lo schema proprio del contratto a favore di terzi ex art. 1411 e ss c.c., valorizzando la ragione sociale cui è preposta la fideiussione, nonché la sua efficacia malgrado la eventuale mancata conoscenza da parte del debitore della fideiussione prestata.
L’inquadramento generalmente più ampiamente condiviso vede la stessa inquadrata nell’alveo dei contratti sinallagmatici, valorizzando l’istituto della surrogazione legale di cui al combinato disposto degli artt. 1203 e 1949 e ss. c.c. che il Legislatore prevede nel disciplinare i rapporti intercorrenti tra fideiussore e debitore principale in seguito all’adempimento di quest’ultimo. Peraltro i sostenitori di tale tesi giustificano così facendo l’apposizione alla stessa della clausola solve et repete ex art. 1462 c.c. avente valenza specificamente processuale, tenuto conto che la stessa è ritenuta generalmente riconducibile ai contratti sinallagmatici, posta la collocazione della stessa nel Codice civile nell’ambito dei rimedi previsti dal L. per gli squilibri propri dei contratti a prestazioni corrispettive.
Ora, l’elemento che più di tutti contraddistingue peculiarmente l’obbligazione fideiussoria è certamente l’accessorietà della stessa, rispetto all’obbligazione assunta dal debitore principale, un’accessorietà che l’interprete è solito generalmente distinguere in formale e materiale in ragione della concreta valenza applicativa.
Specificamente sono norme che individuano la funzione accessoria dell’obbligazione fideiussoria quelle contenute innanzitutto all’art. 1939 c.c., in forza del quale è statuito che la stessa non è valida nella misura in cui non è valida l’obbligazione principale, salvo il caso dell’incapace. La ratio di ciò ben si coglie nella funzione propria perseguita dalla fideiussione, di modo che venuta meno l’obbligazione principale, quella di garanzia non ha ragione di esistere.
Ancora concretizza l’accessorietà formale la disposizione di cui all’art. 1941 c.c. che statuisce che la fideiussione non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore, né può essere prestata a condizioni più onerose; diversamente la stessa è valida nei limiti dell’obbligazione principale. Anche in questo caso la ratio di tale disposizione si rinviene nella funzione tipica perseguita dall’istituto de quo, che impone di non valicare i limiti di garanzia cui la stessa è preposta, tenuto conto del generale principio di buona fede e correttezza che sempre è sottostante alle varie tipologie contrattuali, al fine anche di non aggravare oltre misura la posizione del fideiussore.
Infine, l’art. 1945 c.c. che statuisce, nel regolamentare i rapporti tra creditore e fideiussore, che quest’ultimo può opporre contro il creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, salva quella derivante dall’incapacità. La ratio di tale norma ben si coglie alla luce dell’istituto della solidarietà passiva che l’obbligazione fideiussoria realizza ex lege, finalizzata da una parte a rafforzare la posizione creditrice in piena assonanza con la funzione propria della fideiussione e, dall’altra a non pregiudicare, tutelandole, le ragioni del fideiussore una volta che escusso abbia adempiuto correttamente la prestazione cui era tenuto.
Si ritiene che l’accessorietà formale sia disciplinata da norme che costituiscono il nocciolo duro dell’istituto de quo, in quanto preposte a garantire l’ordine pubblico e, per ciò solo, inderogabili in vista di cause meritevoli di tutela che la prassi commerciale del diritto vivente possa creare nel rispetto dell’autonomia contrattuale ex art. 1322 c.c..
Dall’accessorietà formale si distingue quella materiale rinvenibile nella previsione di cui all’art. 1944 c.c., che nel disciplinare i rapporti tra fideiussore e creditore, statuisce che il fideiussore è obbligato in solido al pagamento del debito, salvo il beneficium escussionis.
Il fatto che il Legislatore renda la materia di tale pattuizione disponibile alle parti, evidenzia come l’accessorietà materiale sia derogabile, posto che trattasi di organizzazione interna del rapporto tra le parti, rimessa a decisioni di mera opportunità, tenuto conto delle esigenze perseguite dalle stesse.
Ed è in tale spazio lasciato dal Legislatore che dottrina e giurisprudenza hanno costruito figure di garanzie personali atipiche, avallando così pratiche invalse nel diritto vivente, giustificate dalla poca duttilità che il modello delle garanzie personali tipiche realizza, in quanto sussunte sotto la rigidità di schemi inderogabili, che mal si prestano ad esigenze di immediata tutela del credito, nonché di snellezza nel recupero dello stesso.
Ora, passando ad analizzare istituti giuridici ampiamente dibattuti da dottrina e giurisprudenza per la loro qualificazione o meno in termini di liceità in quanto riconducibili a forma di garanzia personali atipiche, in tal senso viene certamente in considerazione l’istituto della promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo ex art. 1381 c.c. in forza del quale il Legislatore statuisce che
colui che ha promesso l’obbligazione o il fatto di un terzo è tenuto ad indennizzare l’altro contraente, se il terzo rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso.
Si discute in dottrina e giurisprudenza circa la riconducibilità dell’istituto de quo allo schema della fideiussione come sopra individuata, e in particolare il dibattito ha riguardato anche la differenza intercorrente tra la previsione di cui all’art. 1381 c.c. e una peculiare tipologia di fideiussione c.d. atipica, sub specie la fideiussio indemnitatis, creata dal diritto vivente al fine di impegnare il garante all’eventuale corresponsione di un risarcimento del danno, nella temuta ipotesi di mancato adempimento della prestazione dovuta dal debitore principale al creditore, al fine di un recupero quanto più immediato e snello di somme a titolo di risarcimento del danno da inadempienza. Essa fideiussio si contrappone e differisce dalla promessa di cui all’art. 1381 c.c., per ragioni, innanzitutto strutturali che valgono a fare la differenza dalla generale figura della fideiussione, nella misura in cui si tiene conto che ai sensi dell’art. 1936 c.c. il fideiussore si obbliga all’adempimento di una obbligazione altrui, da qui il vincolo di accessorietà che la caratterizza; lo stesso che è invece assente nel caso di promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo, in quanto la giurisprudenza e la dottrina più attenta hanno ravvisato nell’istituto de quo la promessa di adempimento di una obbligazione propria del promittente, sub specie, l’obbligo di attivarsi a che il terzo si obblighi o compia il fatto promesso. Non a caso, infatti, nella misura in cui il promittente dovesse essere inadempiente, è prevista dal Legislatore una sanzione, sub specie il pagamento di un indennizzo. Ed è anche questa la peculiarità che fa la differenza con la sopra indicata fideiussio indemnitatis, posto che la natura della somma corrisposta dal fideiussore nella temuta ipotesi di inadempimento della prestazione principale è di natura risarcitoria per un danno ingiusto causato al creditore derivante dal mancato adempimento dell’obbligazione contratta.
Si ritengono, invece, generalmente riconducibili all’istituto delle garanzie personali atipiche le c.d. lettere di patronage invalse nella pratica commerciale tra banche e società controllate e controllanti. Segnatamente, si distingue tra lettere di patronage deboli e forti, rispettivamente in ragione della minore o maggiore capacità influente che le stesse esercitano sulla concessione del credito fatto dalle banche alle società controllate, sulla scorta di una lettera di presentazione ad opera delle società controllanti, tenore di influenza che certamente rileva in termini di maggiore o minore vincolo di accessorietà della stessa rispetto al credito erogato dalla banca.
La differenza fra le due tipologie di lettere di cui in parola ben si coglie nella contrapposizione delle stesse circa le diverse funzioni cui assolvono, posto che si ritengono generalmente lettere di patronage deboli, quelle a mezzo delle quali le società controllanti informano le banche circa la solidità della solvibilità della società controllate, al fine di concedere un’apertura di credito ovvero accendere un mutuo. Di contra, sono definite forti quelle lettere di patronage a mezzo delle quali le società controllanti oltre a dare informazioni de quibus, si impegnano a porre in essere attività tali
da assicurare il loro intervento a che tali condizioni non mutino nel tempo, intervenendo in tal senso sulla gestione delle società controllate anche all’uopo con appositi trasferimenti in danaro o erogazioni.
In entrambi i casi dottrina e giurisprudenza tendono a inquadrare la responsabilità delle società controllanti nell’alveo della responsabilità extracontrattuale, sub specie quella di natura precontrattuale ex artt. 1337, 1338 c.c., nella misura in cui dovessero le stesse fornire informazioni mendaci o comunque poco attendibili, tali da indurre la banca a stipulare un contratto sotto l’influenza delle stesse che diversamente non avrebbe stipulato o comunque avrebbe stipulato in condizioni diverse.
Si discute, circa la natura giuridica delle stesse, se possano sussumersi sotto lo schema proprio del contratto con obbligazione del solo proponente di cui all’art. 1333 c.c., ovvero siano riconducibili, allo schema del contratto stipulato mediante facta concludentia ex art. 1326 c.c.. Quest’ultima sembra la tesi più accreditata, specie con riferimento alle lettere di patronage forti, posto che allo stesso schema si riconduce il comportamento della banca che accoglie l’impegno preso dalla società controllante e sulla scorta di ciò, eroga il credito.
Ma nella pratica bancaria si è diffusa per ragioni di comodità l’apposizione alla fideiussione di clausole particolari, quale quella “solve et repete” ex art. 1462 c.c. che generalmente si manifesta in formule del tipo “a prima richiesta”.
Si tratta, come sopra appena accennato, di una clausola disciplinata dal Codice civile nel Libro IV, Titolo III, recante “Dei contratti in generale”, al Capo XIV che individua le norme che regolamentano la risoluzione del contratto, nell’ambito dunque di tutti quei rimedi previsti dal L. quali soluzioni a situazioni di particolare squilibrio economico che può venire a giuridica esistenza con riferimento ai contratti sinallagmatici.
Segnatamente, l’art. 1462 c.c. nel disciplinare il tenore della clausola de qua, la rubrica quale limitativa della proponibilità delle eccezioni, individuandone la ratio applicativa, quale quella di limitare, previo accordo tra le parti, le eventuali eccezioni proponibili, volte ad evitare o ritardare la prestazione dovuta, fatte salve l’eccezioni di nullità, annullabilità e rescissione del contratto, per la particolare valenza di ordine pubblico che le stesse rivestono.
Ne discende che tale clausola importa, nella misura in cui viene apposta ad una fideiussione, che il garante innanzitutto paghi, a prima richiesta, senza opporre alcunché, e solo successivamente, potrà agire per far valere le sue ragioni.
L’apposizione di tale clausola realizza una mera astrazione processuale, molto dibattuta da dottrina e giurisprudenza circa la sua validità, ma considerata generalmente valida se apposta ad un contratto di fideiussione, perché riconducibile all’autonomia negoziale ex art. 1322 c.c., nonché
per le finalità perseguite meritevoli di tutela nell’ambito bancario, sub specie il recupero immediato dei crediti in sofferenza.
Diversa è la questio che si pone con riguardo alle c.d. polizze fideiussorie e con riguardo al c.d. contratto autonomo di garanzia, che realizzano il medesimo scopo, seppure con strumenti aventi regimi giuridici differenti, posto che nel primo caso, la polizza altro non è se non un modulo fideiussorio che si caratterizza per l’estremo affievolimento dell’accessorietà di cui in parola; mentre il contratto autonomo di garanzia, si caratterizza di contro per la totale assenza dello stesso.
In particolare, in entrambi gli istituti, le parti chiamate in causa sono il debitore principale, generalmente un appaltatore, il creditore nella specie di frequente la P.A., e il garante solitamente una banca ovvero un istituto di assicurazione.
La finalità che si persegue con la polizza fideiussoria è quella che permette alla P.A. di garantirsi da eventuali ritardi nell’esecuzione dell’opera, ovvero mancata realizzazione o difformità della stessa. Ricorrendo una di tale ipotesi, che generalmente sono le più frequenti, l’istituto di credito erogherà la somma concordata, salvo poi rivalersi nei confronti dell’appaltatore inadempiente.
Assai dibattuto è stata la questione circa la disciplina contrattuale applicabile, posto che trattasi di fattispecie che presenta tratti in comune con l’istituto della fideiussione, quanto all’accessorietà soprattutto che la contraddistingue, ma anche tratti in comune con il contratto di assicurazione, per certi versi riscontrabile anche con riguardo alla funzione svolta dalla somma di danaro corrisposta dalla banca o dall’istituto di credito, talvolta inquadrata dalla giurisprudenza, quale forma di assicurazione, tenuto conto della volontà contrattuale delle parti.
La giurisprudenza, una volta inquadrata tale fattispecie nel vulnus dei contratti misti, tende generalmente, secondo la regola consolidata, ad applicare la disciplina della tipologia contrattuale prevalente, con particolare favore per il modulo fideiussorio, posto che tra l’altro la disciplina di quest’ultimo è certamente più favorevole quanto al regime prescrizione, assai più breve nel contratto di assicurazione.
Assai discussa è stata poi la natura della polizza de qua, che in ultimo la giurisprudenza delle S.U., in piena assonanza con l’orientamento prevalente, ha qualificato quale garanzia personale atipica in ragione del fatto che la somma eventualmente corrisposta dal garante non è la stessa prestazione per la quale il debitore principale si era obbligato, ossia la realizzazione dell’opera, nei tempi concordata, ovvero in conformità a come pattuita, piuttosto trattasi di obbligazione avente natura risarcitoria, salva la possibilità di rivalersi successivamente sul debitore, secondo lo schema proprio del contratto di fideiussione.
Dalla polizza fideiussoria bisogna distinguere invece il contratto autonomo di garanzia, che vede coinvolte le medesime parti della polizza, dunque, generalmente, l’appaltatore, la P.A., la banca o l’istituto di assicurazione come meglio precisato sopra.
La funzione è la medesima, ossia garantire la conformità dell’opera ovvero la consegna nei tempi della stessa, ciò che fa la differenza piuttosto è il modulo contrattuale utilizzato per perseguire lo scopo, posto che trattasi di un autonomo contratto di garanzia, collegato al contratto principale, generalmente il contratto di appalto, secondo lo schema del collegamento negoziale realizzato dalla causa, ossia dalla ragione sociale dello stesso, e che comporta altresì, a differenza della polizza fideiussoria, il trasferimento del rischio sul garante, per l’assenza di accessorietà, che comporta la possibilità di escutere il garante a prescindere dall’inadempimento del debitore.
Segue, pertanto, un diverso regime processuale, posto che la tutela si distingue in tutela preventiva, sub specie a mezzo di eccezioni sollevabili dal garante relative al rapporto col debitore principale ovvero col creditore, inerenti ai rapporti sottostanti; ovvero si distingue una tutela successiva, ossia mediante azioni, nella misura in cui il garante ha effettuato il pagamento.
Avv. Lucia Emanuela Guerra del foro di Caltanissetta