Badare bene, quindi, alla scelta del detersivo con cui lavare le aree comuni e pertinenziali per evitare di incappare nel reato in questione.
La Suprema Corte di Cassazione, sez. pen., sentenza n. 39197 del 23/09/2013 ha disposto, infatti, che "l'uso di tali detersivi, al pari di qualsiasi altro atto o atteggiamento che risulti molesto, se viene compiuto a tale solo scopo integra gli estremi della condotta prevista dall'art. 660 del codice penale". Affinché si configuri il reato indicato è necessario utilizzare, per la pulizia delle aree comuni (o pertinenziali a quelli di proprietà), un prodotto di cui si abbia la consapevolezza della sua nocività per il vicino (è sufficiente che tale uso venga compiuto anche una sola volta, non occorrendo la ripetitività ed abitualità della condotta lesiva). In caso contrario mancherebbe la prova della volontà di nuocere o comunque di recare disturbo, elemento essenziale per la sussistenza del reato in parola. Lo stesso se quel detersivo fosse l'unico in commercio oppure l'unico capace di detergere nella maniera necessaria e/o manchi la prova della consapevolezza della nocività. Infatti, perché si configuri il reato di molestia è indispensabile, oltre alla nocività del bene e alla consapevolezza dell'attore, che tale uso sia compiuto al solo scopo di recare disturbo (a prescindere dalla motivazione della condotta delittuosa, quale il rancore, la vendetta, ecc.) ma lo punisce solo allorquando sia mosso da " petulanza o altro biasimevole motivo". La corte ha considerato il motivo "biasimevole" quando finalizzato esclusivamente a recar fastidio. E quindi solo in tale caso vi sarà molestia, ossia allorquando, coscienti che una certa condotta reca fastidio ad altri, pur potendola evitare, la si compie lo stesso proprio per tale "biasimevole motivo", ossia esclusivamente per nuocere.