Prima di focalizzare l'attenzione sulla recente pronuncia della Cassazione, esaminiamo, seppur brevemente, il reato di ingiuria.
L'ingiuria è un delitto contro la persona e tutela l'onore. Il delitto di ingiuria è previsto dall'articolo 594 codice penale che, così, recita:
"Chiunque offende l'onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516.
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.
La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a euro 1.032, se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato.
Le pene sono aumentate qualora l'offesa sia commessa in presenza di più persone".
Nell'ipotesi in cui l'ingiuria ha finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso l'art. 3 - Legge 205 del 1993 - prevede una ulteriore circostanza aggravante. Ciò si verifica quando il comportamento di disprezzo, o meglio, offensivo deriva da un consapevole e percepibile sentimento di odio o di discriminazione fondato sulla razza, sull'origine etnica o sul colore, ossia quale disprezzo idoneo ad originare un concreto pericolo di comportamenti discriminatori.
Il soggetto attivo del reato de quo può essere chiunque, trattandosi di reato comune che può essere commesso contro qualsiasi persona, indipendentemente dalle qualifiche e condizioni soggettive possedute.
La condotta incriminata consiste nell'offesa all'onore e al decoro della persona, ovvero in una manifestazione di disprezzo.
Il comportamento offensivo deve essere posto in essere in presenza del soggetto passivo. Si noti bene che è proprio la presenza della persona offesa a distinguere il reato di ingiuria da quello di diffamazione.
L'ingiuria costituisce un reato a forma libera, vale a dire può essere commesso con qualsiasi mezzo ed in qualunque modo. Potrà trattarsi, come il più delle volte accade, di ingiuria verbale, commessa con l'uso della parola, ma non è da escludere che l'offesa possa essere manifestata anche mediante scritti, disegni o immagini. Anche altri comportamenti possono ricondursi alla fattispecie in esame, si pensi allo sputo... La Suprema Corte, con specifico riferimento alla manifestazione di disprezzo: lo sputo, ha stabilito che: "Lo sputo incide indubbiamente sul decoro, costituendo una manifestazione di disprezzo verso l'individuo nei cui confronti è diretto, né ha rilevanza che lo sputo sia rivolto direttamente alla persona, in modo tale da colpirla materialmente, o, eventualmente, a terra, ma con specifico riferimento ad un determinato soggetto" (Cass. Pen. sez. V 30 novembre 1988-4 aprile 1990, n. 4845, CP 91, 1368).
Quanto all'elemento soggettivo perchè possa configurarsi la fattispecie delittuosa in esame non è richiesta la presenza di un animus iniuriandi vel diffamandi, ma è sufficiente il dolo generico, in quanto basta che il soggetto attivo, con coscienza e volontà, faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive.
Quanto agli aspetti processuali l'autorità giudiziaria competente è il Giudice di Pace avente sede nel luogo ove è commesso il fatto di reato (locus commissi delicti).
Il reato di ingiuria è perseguibile a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di tre mesi, che decorrono dal giorno in cui si ha avuto notizia del fatto che costituisce reato, id est dal momento in cui il titolare del diritto tutelato - persona offesa- ha conoscenza certa di tutti gli elementi che consentono di accertare l'esistenza del reato.
La querela va sottoscritta e depositata o alla Polizia Giudiziaria o alla Procura della Repubblica.
Chi scrive consiglia, in questi casi, di rivolgersi ad un buon avvocato penalista, ciò al fine di ricevere delucidazioni sul caso concreto e compiere tutto l'iter che il legale, eventualmente, ritenesse necessario.
La Corte di Cassazione - con sentenza n. 37301 del 11.09.2013 - ha stabilito che integra il reato di ingiuria anche il comportamento della parte che si rivolga all'avvocato che la sta esaminando, nel corso di un dibattimento penale, con l'espressione "non voglio parlare con questo tizio qua".
Secondo la Cassazione l'espressione utilizzata è idonea ad offendere la dignità personale del professionista.
I Giudici di Piazza Cavour sono giunti a tale decisione argomentando che, sotto il profilo dell'elemento oggettivo, perchè sussista il reato di ingiuria la valutazione offensiva delle espressioni utilizzate va effettuata non solo tenendo conto dei rapporti tra le parti e della sede in cui esse sono pronunciate, ma, ancor più, per il fatto che tali espressioni, secondo il comune sentire, sono da ritenersi offensive dell'onore e del decoro della persona.
L'avvocato nell'esercizio della sua professione non è, dunque, un tizio qualunque!
Con tale sentenza è stato ancora una volta ribadito il principio secondo cui il rispetto è dovuto a chiunque indipendentemente dal contesto personale, sociale o professionale. Ciò, anche, al fine di garantire il rispetto del principio dettato dall'art. 3 comma 1 della nostra Carta Costituzionale: " Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".
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