Quando una famiglia si spacca gli affetti si frantumano, come cristallo caduto sul pavimento, e i figli diventano schegge dolorose di quel cristallo rotto.
Livore, rancore e dispetti sono gli ingredienti tipici di molte separazioni, non per tutte fortunatamente, ma il più delle volte il buon senso lascia spazio a vendette subdole tra ex coniugi e come sempre le "vittime sacrificali" sono i figli costretti a vedere l'altro genitore in "tempi rateizzati" .
Vale la pena ricordare che con la legge n. 54 del 2006 e' stato introdotto l'affidamento condiviso dei figli in caso di separazione dei coniugi.
In questo modo i figli vengono affidati come regola ad entrambi i genitori e, soltanto come eccezione, ad uno di essi quando l'affidamento condiviso determini una situazione di pregiudizio per il minore stesso.
Anche a seguito dell'affidamento della prole ad entrambi i genitori, è innegabile che vada comunque stabilita la collocazione privilegiata del minore presso quello dei genitori con cui esso ordinariamente vive.
Dunque, l'art.155 del codice civile, nel disporre l' affidamento condiviso come scelta privilegiata da parte del giudice, sancisce anche il principio per cui "il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo" con entrambi i genitori .
Il giudice che pronuncia la sentenza di separazione personale dei coniugi dispone che i figli restino affidati a entrambi i genitori e adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa.
Con la sentenza n. 22911/2013 la Cassazione si è occupata di un caso in cui un padre è stato denunciato e processato per aver - presuntivamente - sottratto la figlia alla madre. Scendendo nel dettaglio, occorre precisare che era stato emanato da pochi giorni il provvedimento con cui si disponeva l'affidamento della minore alla madre, quando un giorno il padre andando a prendere la ragazzina al rientro da una gita scolastica, la portava presso la propria abitazione dove si fermava per due settimane.
Prima di entrare nel merito della vicenda e' opportuno far riferimento al reato contestato, cioè sottrazione di minori o incapaci; l'art. 574 codice penale punisce la condotta si chi sottrae un minore degli anni quattordici o un infermo di mente al genitore esercente la potestà, al tutore o al curatore o a chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei predetti.
Il reato si configura anche in riferimento a figli di genitori che si separano. In tal caso, uno dei genitori, contro la volontà dell'altro, sottrae il figlio per un periodo di tempo rilevante, impedendo l'esercizio della potestà genitoriale e allontanando il minore dall'ambiente d'abituale dimora.
Qui di seguito, in breve, la storia giudiziaria.
Nel caso di specie, il Tribunale di Como aveva ritenuto un uomo responsabile del reato di cui all'art. 574 c.p., condannandolo alla pena di otto mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio.
La Corte d'appello di Milano confermava la sentenza; il genitore impugnava la decisione, evidenziando che gli era stato riconosciuto il diritto di visita alla figlia, che la madre sapeva bene dove si trovasse la figlia, in quanto la vedeva a scuola tutti i giorni.
La Cassazione accoglieva il ricorso sottolineando che il reato di sottrazione di minori si verifica "solo se la condotta posta in essere da uno dei due coniugi porta ad una globale sottrazione del minore alla vigilanza del coniuge affidatario" .
Nel caso di specie, la responsabilità dell'imputato veniva affermata con esclusivo riferimento alla circostanza che la minore era stata "trattenuta" per circa due settimane dal padre presso la sua abitazione, nonostante fosse stata affidata alla madre, ma omettendo ogni accertamento in ordine all'effettivo ostacolo che tale condotta aveva avuto sull'esercizio della potestà genitoriale da parte della madre.
In particolare, i giudici di merito non accertavano se il "trattenimento" avesse causato una radicale interruzione del rapporto della madre con la figlia, impedendo l'esercizio della potestà oppure avesse configurato solo un'inosservanza del provvedimento giudiziario in ordine ai tempi del diritto di visita riconosciuto al padre.
Gli Ermellini mettevano in evidenza che la ex moglie conosceva la residenza del marito presso cui si trovava la minore e che, durante il periodo in cui la figlia era rimasta presso il padre, la incontrava ogni giorno intrattenendosi a parlare.
Questa circostanza escluderebbe la sottrazione e comunque ogni ipotesi di ostacolo all'esercizio della potestà genitoriale, dal momento che la minore non era mai stata allontanata dalla vigilanza della madre.
La sentenza emessa dalla Corte territoriale non aveva motivato in ordine all'elemento soggettivo del reato che consiste nella coscienza e volontà di sottrarre il minore,
sicché l'accertamento in ordine all'elemento soggettivo avrebbe consentito di verificare se la condotta posta in essere dall'imputato fosse diretta ad impedire l'esercizio della potestà genitoriale all'affidatario ovvero rivolta a eludere il provvedimento giudiziario, con diverse conseguenze anche sulla qualificazione giuridica del fatto.
A causa di rilevanti carenze di motivazione, la Corte annullava la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano.