di Marco Massavelli - Corte di Cassazione Civile, sezione VI, sentenza n. 26573 del 27 novembre 2013. Il Testo Unico Immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998) all'articolo 4 stabilisce che l'Italia consente l'ingresso nel proprio territorio allo straniero che dimostri di essere in possesso di idonea documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e, fatta eccezione per i permessi di soggiorno per motivi di lavoro, anche per il ritorno nel Paese di provenienza: non può essere ammesso, quindi, in Italia, lo straniero che non soddisfi i suddetti requisiti o che sia considerato una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressone dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone o che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale
, per reati previsti dall'articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite.Nel valutare la pericolosita' dello straniero per l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone ai fini dell'adozione del provvedimento di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari, (cfr. articolo 5, comma 5-bis, decreto legislativo n. 286 del 1998) si tiene conto anche di eventuali condanne per i reati previsti dagli articoli 380, commi 1 e 2, e 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, ovvero per i reati di cui all'articolo 12, commi 1 e 3.
L'eventuale richiesta di conversione del permesso di lavoro in permesso per motivi familiari soggiace, quindi, al riscontro della mancanza della pericolosità sociale nel richiedente, salva la necessità di non procedere ad esclusioni fondate su automatismi normativi ma sul riscontro della situazione concreta. Occorre, peraltro precisare che il ricongiungimento familiare e il permesso per motivi familiari sono titoli del tutto diversi e non equivalenti, in particolare (ma non solo) quanto alle condizioni di accesso.
La Corte di Cassazione Civile, con la sentenza 27 novembre 2013, n. 26573, ha statuito che, nel caso di specie, quindi, è del tutto inapplicabile il più attenuato riscontro del requisito previsto dall'articolo 4, terzo comma, ultima parte, e 5, quinto comma, ultima parte ("Nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettivita' dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonche', per lo straniero gia' presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale"), del decreto legislativo 286/98, trovando, invece, applicazione la prima parte di tale disposizione ("Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabil"i) e il successivo articolo 5-bis.
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