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Prima di entrare nel merito della vicenda e' opportuna una breve premessa su quella che è la natura di un fondo patrimoniale.
Il fondo patrimoniale rappresenta una parte separata del patrimonio dei coniugi, vincolata al soddisfacimento dei bisogni della famiglia.
Il fondo patrimoniale e' un atto di liberalità vale a dire un atto a titolo gratuito e i coniugi non possono disporre dei beni che formano il fondo per scopi estranei agli interessi della famiglia né i creditori particolari dei coniugi possono soddisfare i loro diritti sui beni oggetto del fondo patrimoniale stesso.
Per costituire un fondo patrimoniale occorre, naturalmente, essere sposati e il fondo può essere costituito da un solo coniuge, da entrambi i coniugi o da un terzo, sia con atto pubblico sia con testamento.
La costituzione del fondo patrimoniale e le sue eventuali modifiche devono essere annotati a margine dell'atto di matrimonio conservato nei registri del Comune in cui il matrimonio è stato celebrato.
In particolare devono essere indicati la data del contratto, il notaio rogante e la generalità dei contraenti.
All'annotazione deve procedere il notaio nel più breve tempo possibile: se non lo fa è tenuto a risarcire i danni patiti dalle parti.
Dunque, il fondo patrimoniale è opponibile al terzo solo con l'annotazione dell'atto costitutivo a margine dell'atto di matrimonio; lo ha recentemente ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 27854 del 12 dicembre 2013.
I protagonisti della storia giudiziaria nel maggio del 2005 avevano proposto opposizione avverso il pignoramento notificato dalla Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo s.p.a. in virtù di decreto ingiuntivo in base al quale il creditore procedente aveva iscritto ipoteca giudiziale in data 26 gennaio 2004.
Avevano dedotto che il 30 gennaio 2003, insieme ai rispettivi coniugi, avevano costituito fondi patrimoniali e negli stessi fondi avevano fatto confluire i beni successivamente assoggettati ad espropriazione. I suddetti fondi patrimoniali erano stati trascritti presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari il 17 gennaio 2004, prima, quindi, dell'iscrizione dell'ipoteca.
Quindi, in merito a ciò ritenevano che il diritto dei creditori, di aggredire i beni costituenti il fondo, non fosse legittimo perché la costituzione del fondo patrimoniale era stato trascritta in una data precedente all'iscrizione dell'ipoteca, di conseguenza era opponibile a terzi.
Nell'ottobre 2007 il giudice adito respingeva l'opposizione e la questione giungeva sino in Cassazione la quale respingeva il ricorso osservando che : "per giurisprudenza" assolutamente consolidata, il fondo patrimoniale di cui all'art. 167 cod. civ. è una convenzione matrimoniale di talché esso, per essere opponibile ai creditori, va annotato a margine dell'atto di matrimonio, laddove la trascrizione imposta per gli immobili dall'articolo 2647 cod. civ. risponde ad una funzione di pubblicità-notizia e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile, formalità che non ammette deroghe o equipollenti, restando irrilevante la conoscenza che i terzi ne abbiano acquisito altrimenti.
Conseguenza di ciò è che l'annotazione di cui all'art. 162, comma 4, cod. civ., che è norma speciale, è l'unica forma di pubblicità idonea ad assicurare l'opponibilità della convenzione matrimoniale ai terzi.
Al contrario, la trascrizione di cui all'art. 2647 cod. civ., che è norma generale, ha funzione di mera pubblicità-notizia, come correttamente ritenuto dal giudice di merito che aveva argomentato con una congrua motivazione.
Dunque, in definitiva tutti i beni che confluiscono in un fondo patrimoniale costituito dopo il matrimonio, possono essere aggrediti dai creditori, anche se la costituzione del fondo e' stata trascritta prima dell'iscrizione dell'ipoteca, questo perché la trascrizione di cui all'art. 2647 c.c. ha una funzione di pubblicità notizia.
Mentre solo la costituzione del fondo patrimoniale annotato a margine dell'atto di matrimonio e' opponibile a terzi.
In considerazione delle suddette argomentazioni, la Corte rigettava il ricorso e condannava i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 10.200,00, (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre IVA e CPA, come per legge.