Qualcuno li ha chiamati "eretici", altri li hanno addirittura definiti "pazzi", ma i teorici della Modern Money Theory continuano a fare proseliti, lanciando anatemi sulle dottrine tradizionali e registrando il tutto esaurito con i loro convegni in giro per il mondo. Considerata una nuova teoria economica, in realtà la MMT (termine coniato per la prima volta dall'australiano Bill Mitchell) ha radici antiche, professandosi erede della dottrina del padre dell'economia moderna John Maynard Keynes rimodellata sulle sfide del nostro secolo dagli esperti dell'università del Missouri (il noto economista James K. Galbraith in primis ma anche Stephanie Kelton, Michael Hudson, William Black e Randall Wray) e divulgata in Italia, tra gli altri, dal giornalista Paolo Barnard.
Ma qual è il pensiero della MMT?
Gli alfieri della teoria sostengono che, come nella Grande Depressione del 1929, quando l'Occidente inventò il New Deal, abbandonando l'austerity e usando il pensiero keynesiano, allo stesso modo oggi è possibile uscire dalla crisi. Andando oltre i precetti del proprio padre putativo, la Modern Money Theory sostiene che recuperando la propria sovranità monetaria uno Stato ha potere illimitato di finanziare il disavanzo stampando moneta. In poche parole: non esiste il debito pubblico perché ogni Paese ha una capacità di pagamento infinita e quindi non può andare in default.
Addirittura, sconvolgendo i dogmi economici imperanti, la MMT assegna un ruolo positivo al deficit, sostenendo che l'aumento della spesa pubblica da parte dello Stato, e dunque il disavanzo, si tramuta in ricchezza per tutti, mentre, al contrario, la virtù del bilancio causa povertà.
Più semplicemente: se la spesa pubblica è destinata agli investimenti produttivi, la moneta impegnata dallo Stato fa aumentare il reddito (di chi la incassa come corrispettivo per il servizio reso) e dunque la produzione di beni e servizi (tenendo così a bada il rischio inflazione) in un processo virtuoso che alla lunga può portare al raggiungimento della massima capacità produttiva e alla piena occupazione.
È chiaro che la MMT rappresenta un atto frontale dei "gufi" del deficit (secondo la metafora coniata dalla Kelton), alle ideologie neoliberiste dei "falchi" e delle "colombe" che propongono invece aumenti delle tasse a tagli alla spesa aggravando lo stato di cose.
Se i teorici della MMT hanno visto giusto, con i loro assiomi lontani anni luce dal pensiero ortodosso, esiste una via alternativa alla crisi a livello nazionale ed europeo.
Quanto all'Italia, è evidente che la MMT da sola non può bastare, se non si superano gli ostacoli di carattere strutturale esistenti, a partire dall'abbandono di una spesa pubblica troppo spesso funzionale a politiche clientelari. Occorre anche avviare una seria lotta contro la corruzione e abbandonare i pesanti vincoli che ci legano a una insensata macchina burocratica.
A questo risanamento deve poi seguire un rilancio dell'economia attraverso programmi di investimento produttivi e in grado di garantire una reale crescita dell'occupazione. Si può puntare sulle grandi risorse del made in Italy, si può incentivare la creazione di aree verdi e di smart cities. Le possibilità possono essere davvero tante ma è necessario abbandonare quelle politiche di austerity che nei fatti si sono dimostrate fallimentari e che, ad oggi, hanno solo creato un generale impoverimento delle popolazioni.
Nemes