Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la risposta all'Interpello n. 1 del 22 gennaio 2014 avanzato da Confindustria, esprime il proprio parere in merito alla validità di una conciliazione, conclusa in sede sindacale, nella quale il lavoratore rinunci al diritto a impugnare il licenziamento, anche nell'ipotesi in cui lo stesso sia stato effettuato in assenza del rispetto della procedura prevista dall'art. 7 della L. 604/1966.
Com'è noto, la disposizione di legge, novellata dall'art. 1, comma 40, della L. 92/2012, ha introdotto, per le imprese dimensionate sopra le 15 unità (e in quelle del settore agricolo con oltre i 5 dipendenti ex art. 18, comma 8, L. 300/1970), un tentativo obbligatorio di conciliazione presso la Commissione provinciale istituita in ogni Direzione Territoriale del lavoro, attivabile dal datore di lavoro secondo una procedura che inizia con una comunicazione inviata all'organo periferico ministeriale con la quale viene espressa l'intenzione di procedere al recesso, indicando le motivazioni e le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione.
Il Dicastero, premettendo che l'introduzione della procedura conciliativa di cui alla citata normativa lascia inalterata la disciplina e gli effetti di cui all'art. 2113 c.c. (che dispone, con riferimento all'ultimo comma, un'eccezione alla previsione di invalidità delle rinunce e delle transazioni laddove le stesse siano realizzate attraverso la conclusione di un atto negoziale che - secondo i chiarimenti della giurisprudenza - sia riferibile a diritti compresi nella sfera di disponibilità giuridica del lavoratore), afferma che "non sembrano sussistere motivazioni di ordine giuridico per ritenere che un vizio di natura procedimentale non sia ammissibile alla disciplina civilistica di cui al citato art. 2113 c.c. con i conseguenti corollari in ordine all'efficacia degli atti transattivi conclusi in tale sede".